Giudizio: 9/10
Sono le montagne fredde e pietrose della Cappadocia dove le caverne diventano case e persino resort che fanno da sfondo a questa opera dall'impronta teatrale di Nuri Bilge Ceylan, vincitrice, tanto per cambiare, della Palma d'Oro all'ultimo Festival di Cannes : il patto non scritto ma sempre chiaro che ci pone davanti , come una sorta di transazione con molteplici clausole, il cineasta turco prevede l'accettazione in toto delle sue regole narrative che si evidenziano nelle quasi tre ore e mezza di pellicola.
Le montagne della Cappadocia, meta turistica di esploratori di usi e costumi, sono il regno di Aydin, ex attore teatrale ritiratosi dalla scena e rifugiatosi in questo angolo di Turchia tra le proprietà che il padre gli ha lasciato in eredità, compreso un hotel dallo shakespeariano nome di "Otello" ricavato da quelle abitazioni scavate nella roccia che sono l'attrattiva più ghiotta del luogo.
Qui l'uomo vive con la sorella divorziata Necla e la giovane moglie Nihal, circondato da faccendieri che si occupano della gestione dell'albergo e di riscuotere gli affitti delle numerose proprietà; il tempo passa fra chiacchiere , riflessioni dotte, elucubrazioni sulla vita e sulla religione, ma soprattutto il tempo che passa ci porta dentro ad un groviglio fittissimo e quasi inestricabile di difficili rapporti umani: gli affittuari che si sentono vessati da Aydin, gesti di ribellione muti , richieste di perdono, una sorella nevrotica che ben presto sputa in faccia alla coppia il suo rancore, Nihal, la bella e sottomessa moglie , esito della più classica infatuazione intellettuale che nasce dal bisogno di protezione, che cerca di ritagliarsi un angolo nascosto nella sua vita che le dia un minimo di vitalità.
Aydin dietro il suo aspetto amabilmente austero infatti nasconde un volto totalitario , di accentratore, di controllore castrante psicologico, un uomo che cerca di fuggire dal suo fallimento celandosi dietro al cinismo e alla superbia intellettuale che tende ad opprimere e ad annullare tutto ciò che lo circonda; tutto sembra nascondere la sua frustrazione per una carriera che non è stata come doveva e voleva e che non ha rispettato le aspettative che in lui erano riposte, una frustrazione che lo porta a non riuscire neppure ad iniziare il libro per scrivere il quale si è ritirato in quell'esilio montuoso lontano dai fragori di Istanbul.
E' proprio la figura di Aydin il fulcro del racconto che di fatto si svolge nel nulla: accade pochissimo in Winter Sleep, tutto si gioca in lunghissimi quadri dove domina l'immobilità e dove è la parola che regna incontrastata: dialoghi a due o tre persone che si alternano e che fanno salire la tensione psicologica che si crea tra i personaggi, compresi quelli di contorno, fino ad arrivare ad una percezione del dramma tangibile.
Dialoghi sul male e su come affrontarlo, dialoghi sulla religione, riflessioni sull'animo umano e sul senso della vita, quadri infiniti in cui i protagonisti si specchiano ripetutamente e con i quali guardano il mondo esterno, fuori dalla reggia di famiglia.
Aydin compie il suo percorso interiore nell'arco della tre ore e mezza attraverso una serie di passaggi nei quali Ceylan pone metafore ( il cavallo bianco), riflessioni sulla società ( la sottile guerra di classe), scelte drastiche che lo portano ad una dolorosa accettazione finale che fa cadere tutti i pezzi della armatura dell'uomo lasciandolo nudo davanti alla realtà chiara come la luce del sole.
Raccontare tutto quello che Ceylan pone in Winter Sleep non è facile: da autore profondo ogni immagine , anche quella apparentemente più insignificante, ha il suo messaggio subliminale, ogni dialogo , parola, sguardo fanno parte di un percorso che scava nel profondo dei personaggi,
Scene teatrali , abbiamo premesso, perchè le citazioni di Cechov e di Shakespeare non sono casuali, visto che le ispirazioni alla tragedia che trova Ceylan in questi autori sono molteplici e ripetute non solo in questa opera; ma il teatro che si impadronisce del cinema lo si scorge anche nella "liturgia" della parola che si fa padrona assoluta della scena e cattura chiunque abbia accettato e sottoscritto quelle regole che il regista pone sul tavolo da subito.
Girato con la consueta maestria tecnica Winter Sleep si avvale di riprese in interni splendide, dove il rumore del fuoco che arde e la fioca luce che penetra avvolgono i protagonisti in una aura che in certi momenti diventa quasi sacra; le riprese esterne invece, neve o pioggia che sia, sembrano accompagnare lo stato d'animo di chi guarda accompagnandolo nella lenta discesa nell'animo e nella tragedia di Aydin e degli altri personaggi che piano piano sorge fino alla resa dei conti.
Film splendido, che riesce col solo uso della parola a tenere viva l'attenzione nonostante la durata abnorme, Winter Sleep è forse il più bel film di Ceylan, soprattutto per la vividezza con cui vengono disegnati i personaggi, non solo Aydin, grazie anche ad una superba prova di Haluk Bilginer, ma anche Nihal , una bravissima e convincente Melisa Sozen e per la ulteriore conferma delle enormi capacità narrative del regista turco.
Grandissimo film, con una sceneggiatura da brivido (ma anche scenografie e colonna sonora non scherzano)! Per me forse il miglior film del 2014.
RispondiElimina