
Un prologo esplosivo in perfetto stile homemade porn, un primo atto in stile documentario voyeuristico tra le strade caotiche di Bucarest a pedinare la protagonista, un secondo atto di pensieri, parole ed immagini, spesso aforismi per fotografare il grado di degenerazione della società rumena ( e , mutatis mutandi, di tutto l’universo europeo e occidentalizzato) , un terzo atto parossistico e sarcasticamente grottesco ed un finale a scelta fra tre possibilità: con questa struttura narrativa originale ed ovvia al tempo stesso Radu Jude, tra i più interessanti autori del vitalissimo e per tanti versi sorprendente cinema romeno, non solo sbaraglia il campo alla Berlinale aggiudicandosi l’Orso d’Oro per il miglior film, ma costruisce una delle opere più belle , divertenti e tragicamente dissacranti degli ultimi anni.
Il filmino che funge da prologo è il frutto di una fantasia erotica di una insegnante scolastica: la ripresa esplicita dell’atto sessuale con il marito, con tanto di parrucche e di riprese degne del miglior film amatoriale di genere; il filmato però finisce , non si sa come, ben presto in rete e la donna si trova costretta ad affrontare il giudizio dei funzionari della scuola e dei genitori dei ragazzi suoi allievi.
Nel primo atto vediamo la donna muoversi a piedi per le strade di Bucarest , ripresa sempre da una certa distanza, con la telecamera che si posa sulle insegne pubblicitarie che invitano al fitness, alla cura del corpo, al consumismo più sfrenato, ma anche sulle risse verbali nei mercati, per strada, sulla inciviltà degli automobilisti che con macchine gigantesche non si preoccupano minimamente di come esse siano parcheggiate: uno spaccato di una società degradata, racchiusa in se stessa e che , soprattutto, e forse è la prima volta che lo vediamo sul grande schermo, alle prese con la pandemia da Covid-19 che imperversa nel mondo ( le riprese sono dell’estate del 2020). Tutto questo frammento di cinema, che appare più un reportage socio-antropologico-voyeuristico, è girato all’insaputa degli ignavi passanti , alcuni dei quali non si fanno problema a rivolgersi alla macchina con improperi ed insulti; questa è la civiltà odierna, compressa da una pandemia che ne sgretola i contorni e che la porta vicina al punto di rottura: un propedeutico quadro di insieme che fa da sottofondo al racconto e che al tempo stesso è alla base dei comportamenti delle persone.
Il secondo segmento è ancora più raggelante, per molti versi: una carrellata di immagini, a volte senza commento, altre con brevi didascalie , quasi un intervallo stile rai anni 60-70 in cui ce n’è per tutti: fascisti, nazisti, comunisti, post-comunisti, razzisti, complottisti, Ceausescu, Rivoluzione del 1989, storia della Romania, divagazioni su sesso orale, su organi genitali, violenza sulle donne e sui bambini; come si vede tutti aspetti che fanno parte sì della storia recente della Romania, ma che possono facilmente essere trasportati in qualsiasi altra realtà, perché secondo Jude è il mondo intero che ha perso la bussola lasciando una umanità priva di qualsiasi indirizzo.
Unendo la prima sezione e la seconda abbiamo quindi uno spaccato completo su una società che nel terzo si prepara ad imbastire un grottesco processo alla povera insegnante Emi, colpevole di avere avuto un comportamento indecente agli occhi dei ragazzini ma soprattutto dei genitori ipocriti e finto perbenisti.
Ed è proprio con questo terzo capitolo che Radu Jude coagula in maniera magnifica la sua riflessione storico-antropologica, con una ricchezza di dialoghi e di citazioni , sempre in bilico tra il ridicolo e il sarcastico.