Giudizio: 8.5/10
La curiosa odissea dell'ultimo lavoro di Zhang Yimou si è conclusa con la sua uscita sugli schermi cinesi alla fine dello scorso novembre con un buon risultato al botteghino; pronto per vedere la luce alla Berlinale del 2019 il film era stato improvvisamente ritirato poche ora prima della premiere a causa di non meglio precisati problemi tecnici, che nel gergo della cinematografia cinese equivale a problema con la censura, cosa che aveva molto stupito visto i rapporti eccellenti che ormai dai tempi dall'inaugurazione dei giochi Olimpici di Pechino, intercorrevano tra il grande regista e le autorità.
Tentata in extremis l'uscita in altri festival senza successo la pellicola sembrava pronta per i Golden Roster, ma anche in quel caso all'ultimo i soliti problemi ne impedirono l'uscita.
Ora finalmente dopo due anni e una completa manipolazione del film partendo sin dalle riprese effettuate nuovamente, One Second non solo esce in Cina , ma con la prossima riapertura dei cinema verrà distribuito anche in Italia oltre che nel resto dell'Occidente.
Cosa abbia condotto un regista che anche in Cina gode ormai di una fama e di una considerazione altissima a doversi cimentare nuovamente con la censura dopo i burrascosi rapporti avuti con essa nei primi anni della sua carriera non risulta chiaro e tale rimarrà la situazione a meno che non esista una director's cut che un giorno potrà far luce su quanto accaduto.
Una cosa però è certa: nonostante le difficoltà causate dalla censura il settantenne Zhang Yimou ci regala un'opera che torna a ripercorrere i sentieri cinematografici dei suoi inizi dopo aver affrontato il wuxia nei suoi vari aspetti, il blockbuster con la coproduzione sino-americana di The Great Wall , il film storico con The Flowers of War; un racconto dalla forte impronta autobiografica che si sviluppa durante la Rivoluzione Culturale e nel quale il regista infonde una grossa dose di nostalgia e di memoria.
One Second quindi , nonostante tutto, è un film bello, che veicola una serie di riflessioni e di messaggi che non sembrano mai avere ,almeno in questa versione , toni critici verso il regime , proprio perchè l'occhio di Zhang si posa maggiormente sull'importanza della memoria.
La storia racconta di un uomo fuggito da un campo di rieducazione nel Guansu, una delle provincie dove la civiltà cinese è nata , zona lambita dal deserto del Gobi attraverso cui vediamo l'uomo camminare nelle immagini iniziali; lo scopo della sua fuga è quello di potere vedere un filmato di propaganda che precede la proiezioni cinematografiche in cui per un attimo compare la figlia di cui non ha più notizie e che non vede da molto tempo.
Per tutti altri motivi, ma non certo meno nobili come vedremo, anche una giovane orfana deve recuperare una bobina di un film, per cui tra l'uomo e la ragazzina, assisteremo ad agguati, botte, schiaffi e bastonate in nome di una bobina cinematografica; tutta la parte iniziale si regge su questo inseguimento tra l'uomo e la ragazzina , sulle trappole e sugli agguati che si tendono e sulle assurde bugie che inventano davanti al camionista inebetito che li ha salvati dal deserto.
Finalmente la strana coppia raggiunge il villaggio dove è prevista la prossima proiezione e dove il proiezionista Mr Film, così chiamato, aiutato da tutto il paese deve restaurare in fretta la bobina del cinegiornale di propaganda; quando scopre che l'uomo è fuggito da un campo per rivedere in un fotogramma fuggente la figlia , Mr Film si comporta da vero personaggio retto e generoso: aiuterà il padre ma farà arrestare nello stesso tempo il fuggiasco.
Il finale proiettato nel tempo un paio di anni in avanti, quando il protagonista sarà di nuovo un uomo libero è forse un minimo forzato, ma non manca di sottolineare l'importanza del messaggio del film: può un secondo solo, un attimo del Tempo, essere sufficiente a sanare un dolore enorme? Può un secondo trasformarsi nello scrigno prezioso della memoria?
One Second infatti è opera che poggia tutta la sua poetica sul senso del tempo, sulla perdita, sulla memoria da conservare per non far finire tutto nei ricordi ingialliti dal tempo, ma l'opera di Zhang è soprattutto la sua Ode al Cinema, inteso come arte ma non solo, il Cinema che diventava in epoca di rivoluzione culturale il centro di gravità della vita di ogni sperduto villaggio, il cinema come racconto dell'epica , il cinema fatto di sguardi trasognati, di ombre proiettate sul lenzuolo bianco, un fascio di luce che si trasforma in immagini, il tempo che viene cristallizzato su dei fotogrammmi, proprio quelli che cerca il protagonista, la vita che si ferma per assistere alla magia della meraviglia che trasmette lo spettacolo cinematografico, quel cinema che proprio Zhang e i suoi colleghi della Quinta Generazione traghettarono dalle acque stagnanti della propaganda stile sovietico alle nuove forme che conosciamo oggi.
In una delle scene più belle ed emozionanti di One Second assistiamo al proiezionista che mette in pratica uno strano meccanismo per far sì che l'uomo possa rivedere in loop l'immagine del volto della figlia e il protagonista seduto da solo nella sala assiste commosso alla scena che si ripete: è il concetto raccontato per immagini della memoria che si tramanda e che fa vivere i nostri ricordi per sempre.
Prima di tutto quindi l'ultima opera di Zhang Yimou è un ringraziamento all'arte cinematografica e al suo potere evocativo, un ode piena di memoria, di ricordi, di nostalgia per il tempo passato, l'affermazione della centralità dell'importanza dell'immagine; il film che dirige è a tratti di una bellezza totalizzante, anche perchè magnificamente girato e fotografato in modo da amplificare la forza delle immagini del paesaggio, nel quale veramente sembra di rivedere la mano dello Zhang dei primi film , quelli in cui il racconto intimo e la forza dei sentimenti erano il traino principale delle storie; rivedere la Cina della Rivoluzione Culturale popolata da una umanità in perenne lotta con la Storia, tra cinema affollati e polverosi, trattorie sgangherate, ragazzine con le treccine , locali fumosi e sigarette aspirate avidamente raccontata per immagini da un grande maestro come Zhang Yimou è un tuffo nel passato del Cinema cinese che scatena sempre una ondata prorompente di emozioni.
Se Zhang Yi già possiede un background che fa di lui un attore valido e quindi perfettamente capace di dar corpo ad un personaggio contraddittorio quale il protagonista senza nome, la giovanissima Chang Haijun , all'esordio assoluto è una autentica e piacevolissima sorpresa.
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