venerdì 23 luglio 2010

La schivata ( Abdellatif Kechiche , 2003 )

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La vita degli adolescenti

Premiatissimo in patria, e non solo, La schivata, opera seconda di Abdel Kechiche è sicuramente film interessante  e ricco di qualità , come solo i lavori che sfidano l'ovvio possono essere.
L'occhio del regista si posa ,con approccio anche fin troppo neorealista ( come sarà poi anche con Cous cous), su un gruppo di adolescenti della periferia parigina, impegnati nella vita di tutti i giorni, evitando storie di droghe , violenze e stupri che sarebbero state di facile costruzione in un ambiente sociale simile; tutt'altro, gli adolescenti sono impegnati nella preparazione della rappresentazione teatrale di fine anno scolastico,e Kechiche ce li descrive nella loro essenza legata alle problematiche dell'età , sorvolando con classe su aspetti sociali quali l'immigrazione, l'integrazione e la delinquenza: è un compendio di slang, modi di confrontarsi, tumutli interiori, scoppi di antipatie offerti con una certa logorrea e ricchezza di primi piani.

La storia di Krimo, introverso ragazzino maghrebino che vede nascere il suo amore adolescenziale per Lydia, funge da traccia per tutto il film: il giovane cercherà nella rappresentazione teatrale la chiave per poter esprimere alla ragazza i suoi sentimenti, ma la sconfitta, nella vita e nel teatro, altro non faranno che acuire il suo isolamento.
Utilizzando giovani attori bravissimi , Kechiche mette in scena uno spaccato generazionale che va all'essenza, liberandolo delle troppo ovvie e facili sovrastrutture sociologiche e antropologiche: la sua è descrizione concreta, avulsa da qualsiasi pretenziosa valutazione, assolutamente scevra da pistolotti moraleggianti e risulta questo l'aspetto più interessante di tutto il film; anche attraverso l'arte teatrale la sconfitta fa parte della vita , la difficoltà di comunicare non può essere nascosta dietro un costume o una maschera di teatro e la macchina da presa è impietosa nel cogliere dagli sguardi dei giovani protagonisti anche il minimo tumulto interiore oltre che a disegnare un conformismo comportamentale.
Rimane a mio avviso un eccesso di parole, che come un fiume in piena, investe lo spettatore, ma è anche vero che la parola costituisce per la generazione descritta l'arma dell'affermazione, anche violenta.

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