mercoledì 1 settembre 2010

La 36a camera dello Shaolin ( Liu Chia-liang , 1978 )

Giudizio: 8.5/10
Rivisitazioni cinematografiche
La vera essenza del kung fu


Ancora dopo oltre 30 anni questo film conserva intatto il suo grandissimo fascino, arricchito ormai dall'aura del mito e del capolavoro, destino comune ai lavori che hanno lasciato il segno, e che dopo molti anni rimane un punto di riferimento nella cinematografia di genere.
Fu indubbiamente il rilancio in grandissimo stile dei film sulle arti marziali, che con la morte di Bruce Lee avevano subito una triste decadenza e si pose subito come un riferimento non solo relativamente al kung fu ma anche , e soprattutto, alla filosofia che sta dietro all'esercizio della arti marziali, aspetto che , specialmente in occidente, è rimasto troppo spesso relegato in secondo piano, privilegiando l'aspetto da action movie e spettacolare.
Ecco quindi che La 36a camera dello Shaolin diviene anzitutto una sorta di manuale visivo sull'iniziazione alle arti marziali, quasi a voler ribadire il lungo percorso interiore che vi conduce.
Ma il film non è solo questo: la difesa delle tradizioni cinesi mutilate e offese dall'invasore tartaro, il diritto a combattere il male, una sottile critica all'elitarismo in nome di un populismo che vuole estendere agli esseri comuni la conoscenza, spiccano nel corso della storia.
Nella lunga parte centrale del film assistiamo al processo di iniziazione e di trasformazione interiore del giovane Liu Yu-te , fuggiasco dalle angherie dei tartari che giunge al tempio Shaolin con il solo fine di imparare l'arte marziale e poter vendicare la morte dei genitori e degli amici del villaggio; il giovane , impetuoso e impaziente, imparerà, attraverso il passaggio nelle  35 camere,  dove vengono affinate le doti personali fisiche e spirituali sotto l'attenta e severa guida di monaci maestri, che il percorso è dapprima interiore e di trasformazione del proprio essere fino a raggiungere il rango di monaco.
Alla fine partirà per metter in atto la vendetta e con lo scopo, aborrito dai monaci, di creare una 36a camera in cui anche la gente comune, e non solo i monaci, possano imparare l'arte.
La regia del film è sapientissima con coreografie che accompagnano i combattimenti, pochi a dire il vero, sempre azzeccate ed efficaci e tiene sempre a sottolineare come solo attraverso una profondissima trasformazione spirituale in nome degli insegnameni del Budda sia possibile apprendere il kung fu: con questa linea di condotta Liu Chia-liang vuole dipingere la storia di colori sacri , per ridare i giusti connotati ad una arte secolare, liberandola da  eccessive spettacolarizzazioni.
Il film inoltre impone come star assoluta Gordon Liu, fratellastro del regista e grande esperto di arti marziali, che ancora oggi possiede i contorni del mito.

3 commenti:

  1. Visto pochi mesi fa, un film grandissimo! Finalmente le arti marziali mostrate sullo schermo in maniera realistica, con tutto il percorso di crescita e di addestramento mentale che viene prima delle semplici "mazzate".

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  2. nell'ambito della mia personale rivisitazione di film di questo genere, credo proprio che lo vedrò presto!

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  3. Christian : per il motivo che dici tu ritengo che questo film è un caposaldo del genere, anche oltre il reale valore della pellicola.

    Monsier: nel genere è assolutamente un film da vedere, imprescindibile.

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