Il pirandelliano Salvatores
Incursione nella commedia brillante per Gabriele Salvatores che riprendendo una piece teatrale di Alessandro Genovesi , porta sul grande schermo questo Happy Family con risultati, è bene dirlo subito, altalenanti e non pienamnete convincenti, nonostante la pirandelliana atmosfera che si respira in tutto il film.
Il mescolare vita reale e finzione, attori e autori, tormenti e amori da vita ad un film senza dubbio piacevole, ben costruito in cui si sente la mano del regista, ma soffre enormemente del difetto che deriva dall'atteggiamento dell'autore che si cala in una genere ritenuto minore con l'atteggiamento di chi non vuole sporcarsi troppo le mani, senza considerare che costruire buone commedie brillanti e intelligenti è operazione difficilissima.
L'inquieto Ezio si cimenta nella scrittura di una storia che vede coinvolte due famiglie tenute assieme dai figli sedicenni che hanno la balzana idea di sposarsi.
La difficoltà e l'indecisione dell'autore fanno sì che i personaggi, pirandellianamente in cerca d'autore, si materializzino a reclamare un ruolo ed una finale degno e cosa peggiore, l'autore stesso finisce invischiato nella storia , innamorandosi di una delle protagoniste, la bella pianista Caterina, ossessionata dall'essere una rossa e quindi maleodorante per definizione.
La storia, tra difficoltà e momenti divertenti, in cui paure e tormenti pullulano, si dipana fino all'epilogo a sorpresa (ma non tanto).
Salvatores mantiene la struttura da piece teatrale del film, con gli attori che spesso si rivolgono al pubblico immaginario, la carrellata di personaggi è ben variegata e sorretta da dialoghi divertenti, ma il tocco di sottofondo autoriale sembra tarpare le ali più di una volta. Fortuna che la schiera di interpreti da il meglio di se stessa creando quasi una carrellata di inserti tenuti assieme dalla bravura nella recitazione: Diego Abatantuono stralunato e cannaiuolo è un po' la macchietta di se stesso, Fabrizio Bentivoglio ieratico e crepuscolare, Margherita Buy tormentata come sempre e Fabio De Luigi, forse finalmente liberato dagli orpelli vacanzieri natalizi.
Una Milano finalmente fuori dagli stucchevoli stereotipi si offre come una tavolozza agli interessanti esperimenti cromatici del regista e si dona allo sguardo nei suoi aspetti più veri e nascosti, soprattutto nella splendida scena in bianco nero con Chopin in sottofondo, autentico ed unico momento memorabile del film.
"Una Milano finalmente fuori dagli stucchevoli stereotipi si offre come una tavolozza agli interessanti esperimenti cromatici del regista e si dona allo sguardo nei suoi aspetti più veri e nascosti, soprattutto nella splendida scena in bianco nero con Chopin in sottofondo, autentico ed unico momento memorabile del film."
RispondiEliminaSu questo soprattutto si concorda alla grande. Ma volendo anche sul resto. Anch'io l'ho trovato un film non pienamente riuscito anche perchè spesso scade nel didascalico e nel "gridato". Tutto sommato, comunque, un buon prodotto.
Visto che è mia abitudine dire qualcosa solo quando ritengo di avere qualcosa di veramente significativo da dire finisco per non lasciare quasi mai commenti qui da te.
RispondiEliminaE succede perchè recensisci film che non ho visto (e mi limito a leggere le tue interessanti considerazioni) oppure film che ho visto troppo tempo fa e di cui conservo ricordi non abbastanza definiti.
Tutto questo per dire che continuo a seguirti con interesse, missile, e mi sembrava giusto fartelo sapere!
Alessandra: Effettivamente non se ne può più della veduta berlusconiana di Milano; ci sono stato alcune volte e mi son convinto che sia molto più bella e interessante di quanto certi luoghi comuni cinematografici e non solo vogliano far credere.
RispondiEliminaSecondo me è l'aspetto più bello del film e Salvatores ci gioca benissimo.
Martin : grazie Martin, sei molto gentile a farmi sapere che mi segui sempre; l'importante è che si riesca sempre a scrivere qualcosa di non totalmente inutile che qualcuno legge con interesse :)