domenica 22 agosto 2010

Il giardino delle vergini suicide ( Sofia Coppola , 1999 )

Giudizio: 7/10
Il racconto del malessere adolescenziale

Opera prima della figlia del grande Francis Ford, proveniente da una famiglia in cui abbondano registi , attori e produttori, lei stessa attrice nel Padrino III, Le vergini suicide, cui è stato aggiunto il giardino nella traduzione italiana, è un film che impone subito all'attenzione il talento della giovane regista, confermatosi poi clamorosamente nel bellissimo Lost in translation.
Tratto da un romanzo che ebbe notevole successo in America, è una fotografia molto incisiva dei turbamenti giovanili in una tipica famiglia media americana, raccontati con grande delicatezza e al tempo stesso con una crudezza emotiva che colpisce nel segno.
Le vicende delle cinque ragazze Lisbon , di età compresa tra i 13 e i 17 anni, è narrata prevalentemenete da una voce fuori campo collettiva, rappresentata dai ricordi ,25 anni dopo, di un gruppo di coetanei delle ragazze che assistettero ai tragici eventi e che da allora si trascinano dietro il ricordo quasi epico dei fatti. Se da un lato le protagoniste del film sono le cinque fanciulle in fiore, dall'altro il vero senso dello storia lo raccontano gli occhi e la voce dei cinque ragazzi, turbati al punto di diventare collezionisti di cimeli delle ragazze.
Il profondo malessere delle giovani è dipinto sul loro volto sin dai primissimi fotogrammi: due genitori dai principi ferrei che le proteggono con amore smisurato, negando loro tutto ciò che gli adolescenti dovrebbero vivere sulla propria pelle, hanno creato cinque esseri quasi impalpabili, apparentemente privi di emotovità , la più piccola delle quali ben presto si darà la morte, precedendo di qualche mese le altre quattro, autrici di un quasi suicidio collettivo.
Tutto è filtrato attraverso il ricordo, il rimpianto e l'assoluta incapacità di capire perchè ciò sia avvenuto da parte del narratore e se il racconto procede anche con momenti di quasi soavità, l'atmosfera drammatica aleggia su tutta la pellicola.
Evitando con bravura facili tematiche legate alla ribellione giovanilistica e al melò eccessivo, Sofia Coppola racconta un "come eravamo" di forte impatto, con riflessioni, appena accennate in vero, sul malessere adolescenziale che conduce agli atti estremi, concentrandosi maggiormente sulle figure delle cinque ragazze che appaiono slegate dalla realtà in uno stato di saturazione emotiva che le avvicina alla morte; l'eccessiva protezione che deriva dal profondo amore dei genitori (bigotta lei , quasi ridicolo lui) accellera il percorso verso la china finale, dimostrando come educazione ed amore non sempre vanno di pari passo.
Il film risulta insomma piacevolmente bello, percorso solo da qualche sbavatura derivante dall'attingere a qualche luogo comune di troppo, ma sono difetti piccoli in un lavoro che emana invece grande sensibilità e grande bravura tecnica della regista, soprattutto nel rendere gli esterni grazie ad un uso attento della luce naturale e dei colori.
Il successivo Lost in translation confermerà ulteriormente il valore di Sofia Coppola e forse le getterà via di dosso definitivamente l'enorme fardello ( e le acide insinuazioni) del cognome che porta: ha enorme talento e capacità da vendere, speriamo che duri.

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