Giudizio: 7/10
Il linguaggio dell'amore in versione asiatica
Tre storie d'amore, molto sui generis a dire il vero, raccontate da tre registi in un trionfo di ecumenismo asiatico , tenute insieme dallo scoglio quasi invalicabile della lingua che nasconde ,forse, anche una certa difficoltà nel trasmettere i propri sentimenti.
Filo comune ai tre corti i protagonisti che si trovano in citta a loro estranee e che per un verso o per l'altro si trovano invischiati in problemi di cuore ( e di lingua).
Il linguaggio dell'amore in versione asiatica
Tre storie d'amore, molto sui generis a dire il vero, raccontate da tre registi in un trionfo di ecumenismo asiatico , tenute insieme dallo scoglio quasi invalicabile della lingua che nasconde ,forse, anche una certa difficoltà nel trasmettere i propri sentimenti.
Filo comune ai tre corti i protagonisti che si trovano in citta a loro estranee e che per un verso o per l'altro si trovano invischiati in problemi di cuore ( e di lingua).
Il primo, ambientato a Tokyo e diretto dal giapponese Ten Shimoyama, racconta di un giovane di Taipei che vola nella capitale nipponica col sogno di diventare un fumettista. Sempre sulla immancabile bicicletta viene colpito da un quadro che una giovane sta dipingendo in un negozio e il cui sguardo ha accidentalmente incrociato, occhi rigati dalle lacrime alla notizia che il fidanzato via telefono l'ha mollata.
Comunicheranno attraverso le immagini, del quadro lei , di foglietti che furtivamente lascia appesi alla vetrina lui, ed è un processo di avvicinamento emozionale che troverà il punto d'incontro solo nella rapidissima scena finale.
Comunicheranno attraverso le immagini, del quadro lei , di foglietti che furtivamente lascia appesi alla vetrina lui, ed è un processo di avvicinamento emozionale che troverà il punto d'incontro solo nella rapidissima scena finale.
Tokyo raccontata con immagini belle, attingendo troppo ai clichè dei grattaceli e dei torrenti umani che attraversano rigorosamente sulle strisce pedonali, ma la scelta della comunicazione dei sentimenti attraverso i disegni e la pittura è bella e tutto sommato consolatoria.
Si passa a Taipei nel secondo episodio diretto dal taiwanese Yee Chin-yen in cui la quasi completa incomunicabilità linguistica tra un giovane giapponese ed una ragazza indigena crea una situazione surreale e a tratti delirante, in cui i dolori amorosi della giovane appena mollata ricadono obtorto collo sul ragazzo: una storia d'amore che finisce, una infatuazione passeggera usata come surrogato, un coinvolgimento che però si fa strada tratteggiano la vicenda in cui il regista è bravissimo nel giocare sui malintesi e sulla interpretazione delle parole dando vita a dialoghi che strappano il sorriso.Un finale dolce-amaro e poco definito chiude una storia in cui l'incomunicabilità è tangibile, al di là dei sorrisi.
Zhang Yibai dirige il terzo episodio ambientato a Shangai ed è nettamente il più bello, risultando anzi un piccolo gioiello, in cui l'apprezzato regista racconta una platonicissima storia d'amore , paradossalmente troncata da un "te quiero", tra un giovane giapponese che si reca nella megaolopoli cinese per imparare la lingua e la giovanissima figlia della donna presso cui alloggia; il giovane, colpito e affondato dalla notizia giunta per cartolina che la ragazza in viaggio a Barcellona l'ha mollato, diventa l'oggetto dell'interesse della ragazza: una sorta di pudicissima infatuazione che non va oltre il tenero abbraccio di una bianca camicia svolazzante. Storia raccontata sottovoce e con gran classe, come sa fare Zhang e che termina con l'agognato "ti amo" che però allontana e recide. Solo qualche tempo dopo, tornato a Shangai , capirà la beffa linguistica , ma ormai è troppo tardi, le macerie delle vecchie casa giacciono all'ombra dei nuovi grattacieli. Tono leggero quindi per Zhang, ma con grande efficacia racconta una storia d'amore che è anzitutto emozione e scoperta del cuore palpitante, contrapposta al tormento di chi lo ha perso, ma soprattutto il regista cinese si libera del fardello del precedente Spring Subway col quale era stato etichettato (immeritatamente) come videoclipparo visionario.
Film quindi nel complesso bello, con l'episodio finale che domina su tutto e che fa nascere una domanda: ma non si era sempre detto che l'amore ha un linguaggio universale che supera ogni barriera? O, più semplicemente, sarà forse che non siamo più capaci di esprimere sentimenti?
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