A spasso per Tokyo
Sorprende piacevolmente, e a tratti affascina ed emoziona , questo lavoro del giapponese Satoshi Miki, una storia semplice ma ben articolata, che si costruisce strada facendo in una sorta di road movie cittadino che è anzitutto un viaggio interiore.
Takemura, perennemente fuoricorso e pesantemente indebitato, riceve la visita dell'esattore Fukuhara che con maniere spicce gli impone il pagamento entro 3 giorni; il tempo passa ed ovviamente il giovane squattrinato non trova i soldi , ma sarà proprio Fukuhara a fornirgli la ciambella di salvataggio offrendogli i soldi che salderebbero i debiti in cambio di compagnia nel suo girovagare apparentemente , all'inizio, senza meta per Tokyo; non avendo altra scelta Takemura accetta e il viaggio, che intraprende dapprima con molta cricospezione e diffidenza, si trasforma presto in un confronto di esperienze e di ricordi.
Fukuhara ha ucciso dopo un litigio la moglie amatissima e prima di consegnarsi vuole ripercorrere le tappe della sua unione con la donna, che seppur infedele lui ha amato, attraverso i suoi personalissimi luoghi della memoria nella megalopoli giapponese; Takemura dal canto suo, abbandonato in tenera età dai genitori, vedrà nell'uomo così rigorosamente risoluto nei suoi intenti, una figura paterna che gli è mancata e si renderà conto di come larga parte della sua esistenza sia stata recisa. Un finale troppo tagliato con l'accetta lascerà aperta ogni interpetazione non impoverendo più di tanto una commedia raccontata con soavità e anche con spunti brillanti.
Indubbiamente la Tokyo che i due attraversano nelle loro peregrinazioni si erge a protagonista del film, mostrandoci scorci inaspettati e belli , quasi a volersi adeguare al tono del racconto, sempre sussurato e mai caotico, nonostante gli assurdi personaggi in cui i due si imbattono (su tutti un forsennato chitarrista che vaga facendo stridere lo strumento e una pittrice che sembra caduta dalle nuvole); è il flusso delle due storie che si incrociano che detta il ritmo della narrazione, con momenti che sfiorano una delicata commozione tanto semplici e sinceri appaiono.
Indubbiamente la Tokyo che i due attraversano nelle loro peregrinazioni si erge a protagonista del film, mostrandoci scorci inaspettati e belli , quasi a volersi adeguare al tono del racconto, sempre sussurato e mai caotico, nonostante gli assurdi personaggi in cui i due si imbattono (su tutti un forsennato chitarrista che vaga facendo stridere lo strumento e una pittrice che sembra caduta dalle nuvole); è il flusso delle due storie che si incrociano che detta il ritmo della narrazione, con momenti che sfiorano una delicata commozione tanto semplici e sinceri appaiono.
Questo scorrere, ora univoco, ora separato dona comunque una bella organicità al film , nonostante alcuni momenti che appaiono un po' forzati all'interno del contesto complessivo.
I giochi di luce e prospettive che dona Tokyo contribuiscono alla riuscita del film, e la regia di Miki supporta bene il viaggio nella propria coscienza di due solitudini per le quali il ricordo e la nostalgia diventano la spinta propulsiva verso una riconciliazione con se stessi.
Ottimi i due interpreti: Joe Odagiri convincentissimo col suo sguardo stralunato e a tratti bambinesco e Tomokazu Miura, attore buono per tutte le salse, che ben rende il personaggio istrionico e melanconico di Fukuhara.
I giochi di luce e prospettive che dona Tokyo contribuiscono alla riuscita del film, e la regia di Miki supporta bene il viaggio nella propria coscienza di due solitudini per le quali il ricordo e la nostalgia diventano la spinta propulsiva verso una riconciliazione con se stessi.
Ottimi i due interpreti: Joe Odagiri convincentissimo col suo sguardo stralunato e a tratti bambinesco e Tomokazu Miura, attore buono per tutte le salse, che ben rende il personaggio istrionico e melanconico di Fukuhara.
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