L'albero e la natura
L'opera prima di Julie Bertuccelli, Da quando Otar è partito, aveva stupito e affascinato per la sua leggiadra vena poetica; il suo secondo lavoro, presentato a Cannes nella sezione principale, si mantiene nel solco tracciato dalla regista nell'opera prima: il racconto di una perdita, la sua interiorizzazione e lo sviluppo dell'accettazione.
Occorre però dire subito che il risultato raggiunto non è pari al film precedente, pur mostrando una coerenza narrativa nella quale non si stenta a riconoscere la medesima mano.
Siamo in Australia, e la famigliola protagonista, in apparenza felice ,in cui regna l'armonia, viene lacerata dalla perdita del capo famiglia morto d'infarto sotto gli occhi dei suoi cari; moglie e quattro figli subiranno il colpo ognuno a modo suo e soprattutto la figlia femmina, Simone, non vuole arrendersi alla morte del padre, al punto di credere che esso si sia reincarnato nel gigantesco albero che sovrasta la casa nel mezzo della brulla campagna. Dawn, la moglie del defunto, tenta la risalita dall'abbisso in cui l'ha spinta la morte del marito, ma anch'essa sembra subire quella presenza sovrannaturale e ne rimane condizionata.
Sarà un tornado con la sua furia devastante che indirizzerà le scelte della famiglia, spazzando via tutto e aprendo le vie di un nuovo mondo.
Il tema del lutto e dell'abbandono dominano dunque anche in questo lavoro , cui si aggiunge uno spirito animistico, sovrannaturale che sembra legare i destini dell'uomo e quelli della natura che lo circonda, un legame forte che sembra quasi volere armonizzare l'universo, anche nei momenti in cui regna il buio totale.
La presenza maestosa dell'albero che regna sulla casa, la protegge, l'abbraccia coi rami e con le radici ha indubbiamente la forza di una metafora efficace che però , col procedere della narrazione sembra diventare troppo invadente e a volte quasi fuori luogo; se a questo aggiungiamo le frequenti inquadrature bellissme, ma assolutamente fini a se stesse , dell'infinito paesaggio australiano in cui non mancano neppure i canguri, non è azzardato affermare che il film va probabilmente oltre, adagiandosi su un naturalismo e un paesaggismo che poco hanno a che vedere con il nucleo della narrazione.
Dove invece il film da il meglio di sè è nella descrizone dei rapporti tra i quattro fratelli, nella loro personale metabolizzazione della tragedia che li ha colpiti, nel racconto del processo di crescita e di conoscenza della morte e del dolore, nella continua contrapposizione tra morte e vita che si snoda in tutta la pellicola.
Julie Bertuccelli , che come sappiamo ha avuto grandi maestri (Kieslowski, Ioseliani), da un tocco valido alla regia e sembra assolutamente a suo agio nel raccontare il dolore che segue la morte in maniera convincente e sincera, ma stavolta sembra di scorgersi qualche eccesso di troppo nella costruzione della storia che si riflette in svariati momenti in cui il film sembra stentare notevolmente.
Nel complesso il film vale la visione, sostenuto anche dalla buona interpretazione di Charlotte Gainsbourg e dei quattro ragazzini tra cui spicca una eccellente Morgana Davies nel ruolo di Simone, che a conti fatti risulta le vera stella di questo film.
Occorre però dire subito che il risultato raggiunto non è pari al film precedente, pur mostrando una coerenza narrativa nella quale non si stenta a riconoscere la medesima mano.
Siamo in Australia, e la famigliola protagonista, in apparenza felice ,in cui regna l'armonia, viene lacerata dalla perdita del capo famiglia morto d'infarto sotto gli occhi dei suoi cari; moglie e quattro figli subiranno il colpo ognuno a modo suo e soprattutto la figlia femmina, Simone, non vuole arrendersi alla morte del padre, al punto di credere che esso si sia reincarnato nel gigantesco albero che sovrasta la casa nel mezzo della brulla campagna. Dawn, la moglie del defunto, tenta la risalita dall'abbisso in cui l'ha spinta la morte del marito, ma anch'essa sembra subire quella presenza sovrannaturale e ne rimane condizionata.
Sarà un tornado con la sua furia devastante che indirizzerà le scelte della famiglia, spazzando via tutto e aprendo le vie di un nuovo mondo.
Il tema del lutto e dell'abbandono dominano dunque anche in questo lavoro , cui si aggiunge uno spirito animistico, sovrannaturale che sembra legare i destini dell'uomo e quelli della natura che lo circonda, un legame forte che sembra quasi volere armonizzare l'universo, anche nei momenti in cui regna il buio totale.
La presenza maestosa dell'albero che regna sulla casa, la protegge, l'abbraccia coi rami e con le radici ha indubbiamente la forza di una metafora efficace che però , col procedere della narrazione sembra diventare troppo invadente e a volte quasi fuori luogo; se a questo aggiungiamo le frequenti inquadrature bellissme, ma assolutamente fini a se stesse , dell'infinito paesaggio australiano in cui non mancano neppure i canguri, non è azzardato affermare che il film va probabilmente oltre, adagiandosi su un naturalismo e un paesaggismo che poco hanno a che vedere con il nucleo della narrazione.
Dove invece il film da il meglio di sè è nella descrizone dei rapporti tra i quattro fratelli, nella loro personale metabolizzazione della tragedia che li ha colpiti, nel racconto del processo di crescita e di conoscenza della morte e del dolore, nella continua contrapposizione tra morte e vita che si snoda in tutta la pellicola.
Julie Bertuccelli , che come sappiamo ha avuto grandi maestri (Kieslowski, Ioseliani), da un tocco valido alla regia e sembra assolutamente a suo agio nel raccontare il dolore che segue la morte in maniera convincente e sincera, ma stavolta sembra di scorgersi qualche eccesso di troppo nella costruzione della storia che si riflette in svariati momenti in cui il film sembra stentare notevolmente.
Nel complesso il film vale la visione, sostenuto anche dalla buona interpretazione di Charlotte Gainsbourg e dei quattro ragazzini tra cui spicca una eccellente Morgana Davies nel ruolo di Simone, che a conti fatti risulta le vera stella di questo film.
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