sabato 12 novembre 2011

My dear enemy ( Lee Yoon-ki , 2008 )

Giudizio: 7/10
Il cialtrone e la nevrotica

My dear enemy è il quarto lavoro del regista coreano Lee Yoon-ki e precede di tre anni l'uscita dell'ultimo Come rain come shine, uno dei lavori più deludenti e strampalati degli ultimi anni usciti dalla Corea, a maggior ragione se si considera il credito di cui gode il regista, soprattutto a livello festivaliero.
Tanto irritante è l'ultimo lavoro quanto invece è riuscito e valido questo My dear enemy, nel quale si riconosce lo stile tendente al minimalismo del regista che ha però la grande capacità di costruire due personaggi efficaci e che bucano lo schermo in grado di trascinare il film per tutte le due ore di durata.
Situazione banale e semplice: lei rincontra lui dopo un anno e l'incontro non è casuale, lei rivuole indietro i suoi soldi che prestò all'ex, il quale naturalmente non li ha, essendo un tipo che cerca la fortuna nelle sale corse.

Entrambi i personaggi sembrano vivere una esistenza non proprio sicura, ma mentre lei è l'emblema vivente della nevrosi, lui lo è dell'ottimismo che rasenta l'incoscienza.
Tutta la storia ruota sullo spazio temporale di una giornata, in cui lui, braccato da vicino da lei, gira in lungo e in largo per la città alla ricerca di qualcuno che gli presti i soldi per saldare il debito, tra manger di azienda, poliziotte, commesse, tutte rigorosamente donne in qualche modo ammaliate dalla affabile cialtroneria dell'uomo.
Questo meccanismo temporale permette ai due di conoscere l'altro, mediante brevi racconti e sprazzi sul passato,  in maniera più approfondita di quanto fosse al tempo della loro frequentazione e soprattutto la maschera di rancore e di desolazione che copre il volto di lei inizia a mostrare qualche crepa allorquando si rende conto che l'uomo è si un cialtrone e uno sfaccendato, ma possiede una carica di umanità e di ottimismo unite ad una bontà di fondo che lo portano sempre ad aiutare il prossimo.
E' proprio in questo meccanismo di contrapposizione tra due storie che scopriremo avere molti punti in comune, che si specchiano una nell'altra nelle loro diversità, che sta il nucleo pulsante del film, dove per il resto accade molto poco: quelle che sembrano chiacchiere senza senso, spacconate e ostentazioni di vanità per l'uno, silenzi cupi per l'altra, altro non sono che l'epifenomeno di due vite turbolente vissute agli antipodi, ed il finale falsamente ottimistico, come tutta la pellicola, ci offre forse una chiave di lettura su quella che è l'idea del regista.
Nonostante la struttura in cui alternano momenti con fitti dialoghi ad altri di lunghi silenzi, il filo narrativo rimane sempre ben teso e , tranne in alcuni momenti centrali in cui sembra allentarsi un po', non c'è traccia di noia nell'assistere a questo processo di conoscenza reciproca tra i due protagonisti, tra ricordi e confessioni, passato e presente, questo fondamentalmente grazie ad una regia sobria e misurata che evita gli eccessi intellettualistico-esistenziali fini a se stessi e che sa comunque mantenere sempre vivo l'interesse per la storia.
L'avere incentrato tutto il film su le due figure protagoniste imponeva per la perfetta riuscita la scelta di due attori che sapessero portare il film sulle spalle e Lee centra in pieno l'obiettivo: Jeon Do-yeon è assolutamente straordinaria nell'interpretazione della nevrosi e del grigiore che permeano lei, Ha Jeong-woo è bravissimo in un ruolo che dovrebbe far sorridere attingendo ai profondi disagi interiori e mostrando il volto dell'incosciente ottimismo ad oltranza unito ad una bella dose di buffoneria.

2 commenti:

  1. Buon film, lo ricordo con piacere. Lo vidi al FEFF e lo trovai piuttosto riuscito e ben diretto. Una piacevole visione. ciao, c

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  2. Peccato solo che prima e dopo i lavori di Lee Yoon-ki siano tutt'altro che indimenticabili.

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