giovedì 21 giugno 2012

La pelle che abito ( Pedro Almodovar , 2011 )

Giudizio: 6.5/10
Gli indizi che fanno la prova

Se è vero , come recita un aforisma spesso usato nella letteratura thriller, che due indizi fanno una prova, La pelle che abito è il secondo dei due indizi che fa scattare la certezza della prova: Pedro Almodovar che già con Gli abbracci spezzati aveva , con una certa di delusione serpeggiante anche tra i suoi fan più accaniti, mostrato qualche cedimento, conferma il suo approdo ad una "maturità artistica" che non è necessariamente sinonimo di grande qualità.
Quello che emerge maggiormente da questa sua ultima fatica, che pure dei grossi pregi li ha, è proprio questa sensazione di qualcosa che non sgorghi diretta e impetuosa dal genio del regista ma che venga invece attentamente mediata, quasi studiata , filtrata e proposta in una livrea impeccabile ma privata , almeno in parte, di quel pathos dissacrante e un po' scorretto cui Almodovar ci ha abituato per lunghi anni attraverso i suoi lavori.

Il thriller costruito intorno alla figura di Robert, chirurgo e scienziato, ossessionato dagli studi sulla creazione di una pelle artificiale e spinto a ciò dalla morte della moglie in seguito alle vaste ustioni riportate in un incidente, contiene tutte le tematiche care al regista spagnolo: l'identità perduta, il transfer psicologico, lo stupro, l'incesto, l'apparenza dietro la quale si cela un corpo ed un anima, tutto sfumato, addolcito, quasi nascosto dietro complicate dinamiche(basti pensare alla linea tortuosa Robert-moglie-figlia-Vera), fino al trionfo, stilisticamente perfetto del travestitismo-transgenderismo raggiunto prendendo a calci morale ed etica che trasforma il protagonista in un mostro, come lo definisce la sua madre naturale, nascosta sotto le mentite spoglie di governante,fino all'epilogo, drammaticamente riuscitissimo nel suo ermetismo: "Sono Vicente".
Ma Almodovar decide di sviscerare questi temi quasi con pudicizia, inserendoli in una trama complicata come si addice ad un thriller, fatta di salti temporali lunghi e di sogni, di ricordi e di omicidi, in cui c'è poco spazio per il grottesco (salvo qualche raro momento), piegandosi più volentieri invece ad un vouyerismo sottile tra enormi televisori e monitor cui nulla sfugge, in cui anche una parete bianca può diventare un "Io" narrativo.
Il film formalmente, come già il precedente, è senza dubbio di valore eccelso: ambienti raffinati, luci e colori dosati alla perfezione, musiche calzanti a dovere; ma tutto ciò da una sensazione fin troppo netta di algore, di quasi volutamente manieristico che poco si coniuga con i tratti irriverenti che conosciamo in Almodovar.
Il film nel complesso è bello, e il tema dell'identità e del corpo inteso come prigione è ben reso, avesse fatto un film del genere un Polanski ad esempio avremmo gridato al quasi-capolavoro, ma chi si aspetta di sentir vibrare alcune corde guardando i lavori del regista spagnolo non potrà non rimanere quanto meno interdetto, proprio perchè è troppo viva quella sensazione di artificiosità che non riesce a scavare raggiungendo i trigger giusti.
Ecco perchè questo lavoro segna il raggiungimento di una "maturità" artistica da parte del regista: manca  la voglia , o forse la forza, di stupire e di tirare mazzate, come se tutto fosse stato già detto.

4 commenti:

  1. In certi momenti però per me è risultato fin troppo melodrammatico, anche se stiamo parlando pur sempre di Almodovar. Comunque sostanzialmente mi trovi d'accordo nel giudizio complessivo.

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  2. A me sembra che Almodovar abbia intrapreso una strada che lo portrà ben lontano dal regista che conosciamo, il che non vuol dire che questi ultimi due lavori non siano belli, è semplicemente che manca la mano che conosciamo.

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  3. La pelle che abito mi ha stupito, non solo per la scelta diversa che ha fatto il caro Pedro ma anche perché da una storia dal sapore splatter ha saputo creare un film interessante e ben realizzato! Chissà cosa gli frulla ora per la testa...

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  4. Hai ragione, il film non è certo brutto, però io non ci vedo più l'Almodovar che conoscevo e che , sinceramente, preferivo.

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