Giudizio: 8/10
Industria, moda e piccoli sarti
Dopo l'assegnazione del Leone D'Oro a Venezia nel 2006 Jia Zhang Ke è tornato nell' ambito documentaristico che era stato il suo primo interesse nel mondo del Cinema.
Useless vede la luce l'anno dopo il trionfo veneziano, quando ormai tutti, anche i più scettici, spesso aprioristici verso certo cinema cinese, ne avevano riconosciuto le grandi doti di cineasta.
Attraverso un racconto che parte da Guangzhou e finisce nella natale Fenyang, passando attraverso le luci dei palcoscenici artistici-modaioli dei Parigi, Jia Zhang Ke affronta il tema dell'industria tessile in senso lato, uno dei perni più solidi della nuova economia cinese.
Dapprima la telecamera a scrutare i gesti, le facce e la quotidianità di un grande complesso tessile nel quale si producono i primi tentativi di griffe made in China; poi l'occhio posato su uno dei personaggi cinesi più interessanti e più quotati nel campo artistico e della moda, anche oltre i confini nazionali: la stilista MaKe che cerca di coniugare arte e moda basandosi sul concetto di inutilità ("Inutile " si chiama infatti la sua linea di moda) attraverso la manipolazione degli abiti e la loro trasformazione in oggetti vissuti ancora prima che vedano la luce nelle esposizioni; infine il ritorno nello Shanxi, nella natale Fenyang dove le sartorie artigianali subiscono la caduta delle attività locali in favore di una globalizzazione del lavoro che costringe ad abbandonare ago e filo e a indossare il casco da minatore.
In quest'ultima parte, forse per una sorta di affinità etnica, Jia Zhang Ke offre i momenti più sentiti, raccontando attraverso immagini quotidiane un ambiente che sembra essere rimasto ai tempi di Xiao Wu, suo film d'esordio: una Cina periferica dove non fosse per i cellulari non avremmo difficoltà a pensare ancora immersa nella sua storia fatta di strade polverose e di piccoli commerci all'ombra dell'industria del carbone.
Nel suo confronto con la stilista Make invece abbiamo uno sguardo che affranca la prospettiva cinese tradizionale verso un mondo artistico che tenta l'esportazione nel mondo, mostrando un'arte però fortemente legata all'industria tessile , attraverso un discorso che fa della manipolazione e del concetto di "inutilità" il suo focus centrale.
Lo sguardo all' industria manifatturiera di Guangzhou è molto affine a quello di una altro grandissimo documentarista cinese, Wang Bing: qui sono il lavoro e i suoi tempi, il rapporto col prodotto finito,la parcellizzazione delle attività produttive a condurre la telecamera del regista in un racconto che è puramente di tipo documentaristico.
Quello che sicuramente emerge, nonostante la differenza di prospettiva di Jia , è un Cinema fatto di storie, poco importa se raccontate con un taglio piuttosto che un altro, racconti che portano alla luce angoli nascosti di un paese sterminato, che stimolano alla conoscenza di un universo che sfugge alla massificazione del nuovo millennio che ha consentito alla Cina di diventare una potenza mondiale economica, sotto la quale vive un mondo brulicante che quasi nessuno ha il coraggio di raccontare.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.