Giudizio: 8/10
1200 chilometri a partire da un minuscolo villaggio al confine tra Yunnan e Tibet fino a Lhasa prima e poi al Monte Kang: il pellegrinaggio buddhista intrapreso da un gruppo di contadini e pastori segna quei sentieri delle anime lungo i quali i protagonisti di questo straordinario viaggio cercano la propria completezza spirituale.
Il viaggio intrapreso a piedi consiste in una rigido rituale che impone ai pellegrini di compiere ogni qualche passo un inchino fino a stendersi con la faccia a terra, lungo i bordi della strada dove sfrecciano camion e auto, rigorosamente tutto a piedi con il solo appoggio di un trattore che traina vettovaglie e attrezzature utili.
Nel manipolo che si mette in viaggio c'è chi vuole andare a vedere qualcosa di diverso dalle montagne in cui ha vissuto tutta la sua vita, chi accompagna l'anziano parente che ha espresso il desiderio di raggiungere Lhasa, chi invece per espiare le sue colpe per avere ucciso nella sua vita troppe mucche e per essere schiavo dell'alcool, chi lo fa per rendere salva la propria anima e quella di due operai morti nella costruzione della casa, e persino chi vicina al parto vuole dare alla luce un figlio fortunato nato durante il viaggio e se proprio non c'è un motivo personale qualcuno lo fa per donare salvezza ed armonia a chi ne ha bisogno.
Il rituale si ripete immutabile, il piccolo drappello che si muove sui bordi delle strade , superando montagne e valichi innevati, uno strano grembiule sul davanti, lungo fino ai piedi che ripara dal continuo contatto con la terra e delle strane protezioni, simili a rudimentali zoccoli, indossate sulle mani per salvarne il palmo nelle migliaia di inchini.
E' autenticamente, e in tutti i sensi, un film on the road questo Paths of the Soul del regista cinese Zhang Yang, che già aveva utilizzato il genere almeno in un paio di lavori degni di nota ( Full Circle e Getting Home ) , e va sottolineato che di film si tratta, come lo stesso regista ha tenuto a precisare: la pellicola infatti si configura come una forma di linguaggio cinematografica piuttosto atipica in quanto Paths of the Soul tende a fondere la fiction con il documentario; ma gli attori sono tali, sebbene tutti amatoriali ed autentici abitanti di quella regione e Zhang ha impiegato alcuni mesi a girare dopo essere stato per un lungo periodo in Tibet proprio per studiare e osservare il rituale del pellegrinaggio.
Il film è insomma una antologia di storie osservate dal regista in un lungo periodo di tempo concentrate nelle due ore scarse dell'opera.
La forza prorompente di Paths of the Soul sta in una atmosfera autenticamente spirituale che Zhang è riuscito a creare con lo straordinario ausilio dei suoi attori: risulta difficile rimanere impassibili di fronte a tanta forza spirituale e all'incredibile pellegrinaggio cui assistiamo, sebbene per lunghi tratti il film ci mostra solo i personaggi ripetere in maniera ossessiva lo stesso rituale e solo saltuariamente offrirci dei brevi spaccati delle loro vite.
E quando in qualche momento la reiterazione dei gesti sembra scivolare nello stancamente ripetitivo ci pensano le straordinarie immagini delle splendide e temibili montagne che dominano il paesaggio a mantenere viva la tensione emotiva.
Paths of the Soul è opera per certi versi magnifica, che sembra partire come uno studio etnologico e antropologico per approdare invece nella rappresentazione dell'animo umano soprattutto nel suo rapporto con la fede.
Il finale in cui l'uomo sembra perdersi, inghiottito da una natura che sembra l'espressione più autentica dell'infinitezza dello spirito e della sua stessa armonia che sta alla base del pensiero buddhista, sembra segnare l'approdo dei pellegrini lungo il sentiero dell'anima.
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