domenica 29 dicembre 2024

Vermiglio ( Maura Delpero , 2024 )

 




Vermiglio (2024) on IMDb
Giudizio: 7/10

Vermiglio di Maura Delpero, Leone d’Argento Gran Premio della Giuria a Venezia 2024, è un'opera che esplora il fragile equilibrio tra memoria collettiva e identità personale, ambientandosi nelle suggestive Alpi trentine durante gli anni cruciali della fine della Seconda guerra mondiale. Attraverso una narrazione intima e stratificata, il film segue tre giovani donne – Ada, Lucia e Flavia – che si muovono tra i vincoli di una società patriarcale e i loro desideri di libertà, in una comunità molto racchiusa in se stessa  dove il passato è sempre presente e dove il destino è segnato da strade già assegnate ad ognuno; inoltre in paese ci sono due disertori, uno dei quali autoctono, ma l’altro siciliano, che  con la loro presenza rischiano di sovvertire il fragile equilibrio di una comunistiche vive il suo isolamento quasi come un destino ineluttabile.
Delpero costruisce con precisione il microcosmo di Vermiglio, un villaggio che diventa metafora dell'Italia lacerata dalla guerra. L'utilizzo del dialetto locale e la ricostruzione accurata delle tradizioni – dai rituali religiosi alle pratiche agricole – immergono lo spettatore in un tempo sospeso, dove il peso della cultura locale è tanto una protezione quanto un ostacolo e costituisce di certo uno dei punti di forza del film. 
La regista mette in luce come le comunità di montagna siano state attraversate da tensioni profonde: lo scontro tra modernità e tradizione, tra maschile e femminile, tra la vita quotidiana e le incursioni della storia. Le Alpi, con la loro imponenza, diventano quasi un personaggio, una presenza silente che osserva i drammi umani.Ada, la figlia maggiore, incarna la ribellione silenziosa. In un contesto in cui le donne devono sottostare a rigide regole familiari, il suo desiderio di fuga e autonomia è un grido che risuona sotto la superficie della sua compostezza. La tensione tra dovere e desiderio è palpabile nelle sue scelte,  soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto amoroso col disertore siciliano  che segnerà in maniera drammatica ed indelebile la sua vita ,e Delpero la rappresenta con una delicatezza che evita facili stereotipi.
Lucia, la secondogenita, rappresenta invece il conflitto interno: il suo percorso di crescita è segnato dalla scoperta della propria identità in una società che non lascia spazio all'individualità. Il personaggio di Lucia è il più complesso e stratificato, poiché incarna il passaggio dall'adolescenza all'età adulta in un mondo che chiede conformità.


Flavia, infine, è l'innocenza messa alla prova. La più giovane delle sorelle è testimone silenziosa di un mondo in cambiamento. Attraverso il suo sguardo, il film si concede momenti di poesia e speranza, contrapponendosi alle ombre della guerra.
Oltre alla trama personale delle tre protagoniste, Vermiglio si interroga sul rapporto tra memoria e identità. La comunità del villaggio, con i suoi riti e le sue abitudini, diventa il simbolo di un'Italia che tenta di ritrovare se stessa dopo il trauma del conflitto. L'acqua e la neve, elementi ricorrenti nella fotografia, assumono un valore simbolico: purificazione, ma anche immobilità.
Il patriarcato, incarnato nella figura del padre Cesare, è al centro di un discorso che non si limita alla critica, ma esplora le complessità delle relazioni familiari. Cesare non è solo oppressore, ma anche vittima di un sistema più grande di lui, che lo incatena a ruoli e aspettative, ma paradossalmente è anche il personaggio più colto ed evoluto del villaggio essendo un maestro che si spende per l’istruzione dei ragazzini e anche degli adulti in corsi serali.
Il personaggio di Cesare è forse quello più sfaccettato e meglio riuscito per lo meno relativamente al suo ruolo all’interno del racconto: evoluto, ma tiranno in casa, sceglie il destino delle figlie in base a regole arcaiche tramandate da secoli, ascolta la musica classica , ma affronta con gravità la situazione della figlia maggiore; una ambiguità insomma  che dà vita ad un personaggio ben riuscito anche grazie alla prova eccellente di Tommaso Ragno.

venerdì 27 dicembre 2024

Do Not Expect Too Much From the End of the World ( Radu Jude , 2023 )

 




Do Not Expect Too Much from the End of the World (2023) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Con Do Not Expect Too Much from the End of the World, Radu Jude confeziona un'opera che unisce sarcasmo tagliente, riflessione sociale e sperimentazione narrativa, offrendo un affresco tanto ironico quanto inquietante della Romania contemporanea e del suo rapporto ambiguo con l'Occidente. 
Il film, diviso idealmente tra passato e presente, riesce a mettere in dialogo due epoche attraverso un racconto che si muove tra il tragico e il grottesco, confermando Jude come uno dei registi più originali del panorama attuale dirigendo un’opera che ha molti punti in comune con l’osannato Sesso sfortunato o follie porno sia dal punto di vista narrativo che da quello delle tematiche discusse.
Al centro del film troviamo Angela ( una eccellente Ilinca Manolache ), un'assistente di produzione freelance che trascorre le sue giornate guidando freneticamente per Bucarest alla ricerca di lavoratori infortunati per un video aziendale commissionato da una multinazionale per una campagna rivolta alla sicurezza sul lavoro; nei momenti di pausa la protagonista da voce e volto sommariamente truccato da software su Tim Tok al suo alter ego Bobita un esaltato che sproloquia in perfetto stile trash da social.
Per gran parte del segmento iniziale la sua figura è messa in parallelo con quella di un'altra Angela, protagonista del film rumeno Angela Moves On (1981) di Lucian Bratu. Quest'ultimo racconta le vicende di una tassista nella Romania comunista, creando un parallelo efficace tra le due epoche.
Il confronto tra le Angela – la tassista di ieri e l'assistente stressata di oggi – rappresenta una riflessione potente sull'evoluzione della società rumena: se l'Angela degli anni '80 navigava in un sistema rigido e prevedibile, quella contemporanea è immersa in un mondo frammentato e alienante, dove il capitalismo ha sostituito il controllo centralizzato, ma non ha alleviato il peso dell'oppressione. 
La sovrapposizione di frammenti del film di Bratu con la narrazione contemporanea crea un dialogo ironico e malinconico, suggerendo che le dinamiche di potere e sfruttamento restano immutate, seppur cambino le forme e i colori , visto che il film dell’Angela comunista è in un bel colore d’annata mentre  quello della Angela-Bobita post comunista è un bianco e nero sporco e sgranato.



Una delle scene più emblematiche del film che occupa tutta la lunga  parte finale in un piano sequenza interminabile, è quella in cui Angela filma Ovidiu, un lavoratore infortunato su una sedia a rotelle. La sua testimonianza, che dovrebbe raccontare un incidente sul lavoro, viene manipolata per soddisfare le esigenze di comunicazione della multinazionale. 
Questo processo di distorsione etica non solo svilisce la voce di Ovidiu, ma mette in evidenza le dinamiche di potere insite nelle strategie di corporate storytelling. Simili pratiche, ormai diffuse globalmente, trasformano storie autentiche in strumenti di marketing, sollevando interrogativi sulla responsabilità morale di chi gestisce tali narrazioni. 
La scena, in questo senso, funge da specchio inquietante per il modo in cui la società moderna spesso monetizza il dolore personale, rendendo la verità un elemento secondario rispetto agli obiettivi commerciali. Questa dinamica non si limita a una critica alla realtà rumena, ma diventa uno specchio delle tendenze globali, dove la narrazione personale è spesso subordinata alle logiche aziendali.
La ripetizione ossessiva delle battute, che devono essere perfettamente allineate alla narrativa aziendale, evidenzia l'ipocrisia e la disumanizzazione del capitalismo contemporaneo. Il caso di Ovidiu non è un'eccezione, ma un esempio paradigmatico di come i lavoratori vengano ridotti a "storie" utili per alimentare il consenso o la promozione di valori aziendali. Questa manipolazione riflette un fenomeno globale, in cui le vite dei singoli sono strumentalizzate per creare contenuti appetibili e politicamente convenienti.
In questa scena, girata come detto in un lungo piano sequenza, l'alienazione kafkiana emerge con forza: la macchina da presa si sofferma con insistenza su dettagli apparentemente insignificanti, come il volto teso di Ovidiu o i movimenti monotoni di Angela, enfatizzando la ripetitività e l'assenza di via d'uscita. Il ritmo lento e claustrofobico del piano sequenza, unito alla scelta di inquadrature statiche o strette, sottolinea il senso di impotenza e assurdità, trasportando lo spettatore in un microcosmo di alienazione e sfruttamento, le parole ripetute fino alla loro completa perdita di significato trasformano un dramma umano in una farsa. Jude utilizza questo momento per sottolineare come le narrazioni ufficiali non siano mai innocue, ma strumenti per mantenere lo status quo. Al tempo stesso, il regista ci invita a riflettere su come queste pratiche si siano ormai infiltrate nei media globali, rendendo la critica urgente e universale.
Lo stile di Jude è volutamente frammentato e multistrato, combinando bianco e nero, riprese digitali, citazioni di cinema d'archivio e momenti surreali. La scelta di includere l'alter ego di Angela su TikTok – un personaggio volgare e satirico che prende di mira misoginia e stereotipi – aggiunge una tematica ormai universale che riflette sul nostro rapporto con i media e l'identità digitale.

mercoledì 25 dicembre 2024

Twilight of the Warriors:Walled In / 九龙城寨之围城 ( Soi Cheang /郑保瑞 , 2024 )

 




Twilight of the Warriors: Walled In (2024) on IMDb
Giudizio: 7.5/10

Soi Cheang per la presentazione del suo nuovo attesissimo film Twilight of the Warriors: Walled In, sceglie  la prestigiosa cornice del Festival di Cannes seppure fuori concorso nella sezione Midnight Screening, dopo avere avuto nel Festival di Berlino nelle due precedenti occasioni il trampolino di lancio; al di là dei giudizi positivi raccolti  il film si è rivelato come il secondo all time al botteghino di Hong Kong relativamente alle opere  prodotte nella ex colonia britannica.
Il film di Soi Cheang offre un'immersione senza compromessi nella Kowloon Walled City degli anni '80, un luogo che ha fatto la storia di Hong Kong e che in questo frangente sembra quasi una allegoria della società degli anni 80 dove vige l'anarchia e l’istinto di sopravvivenza umana. Questo thriller noir, adattamento dell'omonimo manhua di Andy Seto, non solo racconta una storia di giustizia e criminalità, ma dipinge un affresco crudo e suggestivo di un microcosmo che esisteva ai margini di Hong Kong, sospeso tra mito e realtà.
La vera protagonista del film è la Walled City stessa: un intricato labirinto di edifici sovrapposti, illuminato da neon tremolanti e popolato da un mix eterogeneo di personaggi. Soi Cheang filma questo spazio con uno sguardo quasi documentaristico, catturandone sia il fascino che il degrado. Scene emblematiche come il mercato notturno, dove i neon pulsano sopra banchi affollati di mercanzie, o il confronto tra bande in un vicolo stretto, con l'illuminazione che enfatizza il caos e la violenza, mettono in risalto la dualità della città. L'architettura claustrofobica diventa metafora della condizione umana: compressione fisica e morale, ma anche una sorprendente capacità di adattamento. 
Come sempre poi è la mano del regista a dare quel tocco che fa di Twilight of the Warriors un film ricco di fascino, anche laddove l’aspetto più puramente narrativo non convince sempre a pieno, e di molti dei numerosi sottotesti che hanno fatto la fortuna del grande cinema d’azione di Hong Kong.



Soi Cheang sfrutta la sua esperienza come regista di action thriller (“Dog Bite Dog”, “SPL II”, “ Limbo”) per costruire sequenze di combattimento intense e visceralmente coreografate, che trasmettono un senso di precarietà e pericolo costante. In particolare, una scena ambientata in un corridoio stretto, dove il protagonista combatte contro più avversari con oggetti improvvisati, cattura perfettamente questa tensione, mentre un altro momento clou mostra un inseguimento tra tetti instabili, dove il pericolo deriva tanto dai nemici quanto dall'ambiente circostante. Le scene d'azione, spesso girate in spazi angusti, enfatizzano la natura selvaggia e imprevedibile della vita all'interno delle mura.
La storia segue un giovane  immigrato clandestino mainlander, segnato da un passato turbolento e alla ricerca di redenzione che si trova lungo la strada uno dei signori della malavita locale di Hong Kong per fuggire dal quale si ritrova catapultato, quasi fosse in una favola dark, nell’ambiente che domina la Walley City.
Attratto dalla Kowloon Walled City come un luogo in cui rifarsi una vita, si confronta con un ambiente dominato da bande criminali e privo di regole, dove la sua forza e determinazione saranno messe alla prova e soprattutto dove in breve tempo capirà come sia meglio comportarsi per non finire stritolato.
Il protagonista, entrato nelle grazie di Cyclone il signore incontrastato di Kowloon che regola la comunità con un fare tra il paternalistico ed il tirannico, si allea con un gruppo di abitanti locali, composto da ex lavoratori, piccoli commercianti e giovani cresciuti tra le mura, che cercano di resistere alle conseguenze di una guerra per bande che affonda le sue radici in un passato che mette di fronte vecchi amici e compagni d’armi ora su barricate diverse, al quale il protagonista è in qualche modo connesso.
Uniti dalla volontà di proteggere ciò che rimane della loro comunità, trovano nel protagonista una speranza per ribellarsi al regime di terrore. Attraverso tradimenti, alleanze inaspettate e scontri violenti, la lotta per il controllo della città si intreccia con la ricerca di un senso di giustizia personale, che il protagonista manifesta affrontando i fantasmi del suo passato e cercando di proteggere gli innocenti all'interno della Walled City. Questa evoluzione lo porta a mettere in discussione il significato di giustizia e il ruolo che può avere in un mondo senza regole.
I personaggi sono scolpiti con il tipico approccio di Soi Cheang: figure moralmente ambigue, in bilico tra redenzione e dannazione. Il protagonista lotta non solo contro i criminali, ma anche contro il proprio passato e le sue scelte. Gli abitanti della città incarnano diverse sfumature di umanità, dall’eroismo alla disperazione: un ex medico combatte per mantenere un dispensario improvvisato, mentre un giovane orfano diventa il simbolo della ribellione comunitaria con il suo sogno di aprire una scuola all’interno delle mura.

venerdì 20 dicembre 2024

Caught by the Tides / 风流一代 ( Jia Zhangke / 贾樟柯 , 2024 )

 




Caught by the Tides (2024) on IMDb
Giudizio: 8.5/10

Con Caught by the Tides, Jia Zhangke realizza una delle opere più intime e riflessive della sua carriera, un film che attraversa decenni di cambiamenti personali e storici, intrecciando il passato con il presente. Presentato al Festival di Cannes 2024, il film unisce materiale d’archivio tratto dai precedenti lavori del regista con nuove riprese, creando una narrazione che è al tempo stesso nostalgica e profondamente critica nei confronti del rapido sviluppo della Cina contemporanea.
Profondamente influenzato dalle peripezie della pandemia che ha bloccato il cinema per quasi due anni, Jia da buon documentarista quale è, sfrutta tutto il girato di alcuni suoi lavori precedenti ( Still Life e Unknown Pleasures in primis) creando un filo che percorre la sua cinematografia, le storie personali e la trasformazione della Cina fino ai giorni nostri innestandosi sulle riprese vere e proprie del film girate subito dopo la fine dell’emergenza mondiale.
Il racconto si snoda su quasi venti anni, articolato in tre segmenti distinti e segue le gesta di Qiao Qiao e della sua tormentata storia d’amore con Guo Bin affidandosi per i primi due interamente a filmati di archivio; questo approccio non convenzionale evidenzia il passare del tempo in modo tangibile, mostrando l'invecchiamento reale dei luoghi e dei protagonisti, mentre la qualità visiva varia tra formati digitali, pellicole 35mm e video a bassa risoluzione, rendendo il tempo un elemento viscerale e quasi palpabile nel film.



La scelta di Jia di utilizzare filmati dai suoi lavori precedenti, non è solo un omaggio al suo cinema, ma un modo per esplorare il tempo come memoria collettiva e personale.  Questo approccio potrebbe sembrare auto-referenziale, ma offre una meditazione profonda sul potere del cinema come mezzo per preservare e rielaborare il passato, andando ad arricchire ulteriormente la riflessione sul tempo che trascorre , cardine imprescindibile delle tematiche cinematografiche dell’opera del regista cinese.
Il film si concentra su come il tempo plasmi non solo i personaggi ma anche il panorama culturale e sociale della Cina. 
La costruzione della diga delle Tre Gole e il conseguente spostamento di milioni di persone sono rappresentati come metafore della trasformazione nazionale, a costo della perdita di radici e tradizioni. Jia mostra con malinconia il contrasto tra la vitalità delle comunità dei primi anni 2000 e il senso di alienazione del periodo post-pandemico. Il tempo, nel suo cinema, è sia distruttore che custode, e il film cattura questo dualismo con straordinaria sensibilità.
Il film esplora due temi fondamentali: l'impatto del progresso cinese e il trascorrere del tempo. Dai villaggi minacciati dalla diga delle Tre Gole ai centri urbani in rapida espansione, Jia mette in luce i sacrifici umani e ambientali del progresso economico. 
La narrazione segue anche il viaggio emotivo di Qiao Qiao, che cerca un amore perduto ma finisce per intraprendere una ricerca più profonda di sé stessa, offrendo un parallelo con una nazione alla ricerca della propria identità in un mondo globalizzato.
Quello che Caught by the Times esprime con maggior forza è il rapporto tra il cinema ed esplorazione temporale che sebbene sia una tematica carissima al regista, diventa qui quasi un trattato filosofico per immagini: il cinema come custode imperituro del tempo, conservando il passato, descrivendo il presente e prefigurando il futuro.

domenica 8 dicembre 2024

Giurato numero 2 [aka Juror # 2] ( Clint Eastwood , 2024 )

 




Juror #2 (2024) on IMDb
Giudizio: 8/10

Con Giurato Numero 2 , Clint Eastwood torna dietro la macchina da presa con l'intensità e la profondità che hanno caratterizzato il suo cinema negli ultimi decenni. 
A 93 anni, il regista continua a esplorare i grandi dilemmi morali che attraversano la condizione umana, ponendo al centro della narrazione un uomo ordinario di fronte a un dilemma straordinario e crea un compendio cinematografico di questioni morali che possono presentarsi nella vita di chiunque.
Il film si concentra su Justin Kemp , un tranquillo impiegato con un passato da alcolista messo in salvo dalla amorosa moglie in attesa di avere un figlio, dopo che la precedente gravidanza si era trasformata in tragedia, che viene chiamato a far parte della giuria per un caso di omicidio all’apparenza di semplice soluzione: lui ex delinquente, beone e violento , lei trovata morta al bordo di una strada dopo una delle tante liti. 
Durante il processo, Justin scopre di avere informazioni cruciali che potrebbero influenzare l'esito del caso: potrebbe essere lui stesso coinvolto, anche se indirettamente, nella morte della vittima. La storia si sviluppa, apparentemente come un legal thriller intorno alla sua lotta interiore: confessare e rischiare di distruggere la propria vita o tacere e lasciar che un altro paghi per un crimine che forse non ha commesso.
Come in molte opere di Eastwood, il film scava nel profondo della natura umana, affrontando temi come la verità, la giustizia e il senso di colpa. 



Justin rappresenta un uomo comune posto di fronte a domande etiche universali: fino a che punto siamo disposti a sacrificare noi stessi per i nostri valori? Quanto possiamo convivere con un segreto che rischia di consumarci?
Accanto alla figura del protagonista si staglia quella del pubblico ministero Killebrew , una donna che cerca di conciliare la sua ambizione con la necessità di dover amministrare la legge e contribuire a fare giustizia.
La figura del protagonista si presta a un'analisi dettagliata:  Kemp non è un eroe tradizionale, ma un uomo tormentato, il classico medio man , tutto famiglia e lavoro che sembra essersi lasciato alle spalle il suo problema di alcolismo, intrappolato tra la paura di perdere tutto e il desiderio di fare ciò che è giusto. La regia di Eastwood, essenziale, a tratti quasi minimalista nel suo adagiarsi al racconto, ma potente, enfatizza il suo isolamento, mediante il quale il protagonista pensa di affrontare i dilemmi morali che lo affliggono.
Il senso di colpa, tema caro a Eastwood, si intreccia qui con la tensione narrativa del processo:  il regista aveva già esplorato le conseguenze delle scelte morali e il peso delle responsabilità in altri suoi lavori, tuttavia, in Giurato Numero 2 Eastwood pone una domanda ancora più radicale: quanto valore attribuiamo alla verità quando è la nostra vita a essere in gioco? E’ la giustizia da considerare come verità assoluta oppure la verità fa parte di quegli aspetti della condizione umana in cui è impossibile attendersi una unicità assoluta? In sostanza può la giustizia, intesa come entità quasi sacra, superare la verità ?
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