giovedì 6 febbraio 2025

The Brutalist ( Brady Corbet , 2024 )

 




The Brutalist (2024) on IMDb
Giudizio: 10/10

Brady Corbet torna alla regia con The Brutalist, trionfa a Venezia ottenendo un meritatissimo Leone d’Oro che diventa l’avvio di una messe di riconoscimenti ( compresa una decina di nomination per gli Oscar) come raramente si era visto negli ultimi anni: opera monumentale che esplora l'arte, il potere, la memoria e l'identità attraverso la vita di Laszlo Toth, un architetto ungherese sopravvissuto all'Olocausto e un cast stellare  con Adrien Brody , Guy Pearce e Felicity Jones, il film si pone come un riflessione ambiziosa sull'ambivalenza del sogno americano, sulle dinamiche di sfruttamento nell'arte , sul peso del passato, ma soprattutto come un gigantesco racconto che racchiude in sé tutte le vicende del XX secolo, strutturandosi come un opera maestosa, dal sapore antico, intrisa di quella  magnificenza propria del Cinema eroico, quello che negli anni 50 e 60 ha costruito il sogno su cellulosa di milioni di persone.
La pellicola segue la vita di Laszlo Toth ( personaggio di finzione), un brillante architetto ebreo ungherese che emigra negli Stati Uniti, raggiungendo un cugino emigrato già da anni, dopo essere sopravvissuto ai campi di sterminio  alla fine della Seconda guerra mondiale mentre la moglie rimane bloccata in Europa in attesa di raggiungerlo. 
Il film copre un arco temporale di circa trent'anni, raccontando le difficoltà di inserimento in una società americana apparentemente accogliente, ma in realtà segnata da pregiudizi, razzismo e discriminazioni. All’inizio la vita è difficile, la separazione dal cugino lo porterà a lavorare nei cantieri fino a quando incontrerà il magnate dell'industria Harrison Lee Van Buren che  sembra aprire a Laszlo una porta verso il successo e il ritorno alla sua arte, ma la loro relazione si trasforma rapidamente in un intricato gioco di potere che culmina in un drammatico confronto.
Il film alterna piani temporali diversi, utilizzando il formato VistaVision per creare una narrazione epica e senza tempo, in cui il passato di Laszlo continua a riecheggiare nel suo presente.
Il film inoltre si compone di un prologo, due atti e un epilogo che danno una struttura narrativa mirabile all’opera completa.
Parlare di The Brutalist senza eccedere in iperboli o in aggettivi superlativi non è facile, così come potrebbe non essere semplice seguire il film nei suoi 215 minuti di durata, ma questo è un'opera nella quale , va detto, non esiste un minuto che sia seppur minimamente superfluo, perché al suo interno c’è il racconto di un’epoca che diventa epopea nel suo carico di drammaticità.



L’inizo del film, un prologo di pochi minuti, mette già chiaramente i paletti su cosa dobbiamo aspettarci: Laszlo si muove in una moltitudine di persone, gomitate, spallate, urla , grida, in un miscuglio di lingue fino a quando il buio inizia a lasciare spazio ad un barlume di luce sempre più potente  e alla fine la prima immagine che vede Laszlo vomitato fuori dalla nave, e che vediamo anche noi, è la Statua della Libertà capovolta: Brady Corbet  in The Brutalist destruttura il mito del sogno americano, presentandolo come una promessa illusoria per chi non appartiene all'élite dominante, lo trasformerà in un incubo, sbriciolerà quella che è stata una illusione per molti e  il protagonista, pur essendo un genio dell'architettura, si scontra con le barriere sociali ed economiche che limitano la sua ascesa in una America del dopoguerra che è dipinta come un luogo di opportunità solo per alcuni, mentre gli emigrati devono lottare contro la diffidenza e il cinismo di una società che non ha ancora superato le sue contraddizioni interne, ma che già ha eletto il profitto e il dollaro a divinità pagana cui immolarsi.
Questa disillusione si manifesta non solo nelle difficoltà economiche e professionali di Laszlo, ma anche nell'umiliazione costante di dover accettare compromessi imposti da chi detiene il potere. Il personaggio di Harrison Lee Van Buren incarna il volto oscuro, l'altra faccia, del sogno americano: un uomo di successo che sfrutta il talento altrui, trasformando l’arte in un'arma di dominio, ma al tempo stesso un personaggio che soffre della sua inferiorità culturale, specchio dell’annoso complesso che pesa sulla schiena dell’americano rispetto all’europeo. 
Laszlo si trova così a vivere una doppia condizione di esilio: non solo come emigrato in una terra straniera, ma anche come artista costretto a sacrificare la propria integrità per sopravvivere, a subire umiliazioni sottili, quando non sfacciate, a dover scendere a compromessi con persone che chiaramente non possiedono le sue conoscenze maturate nella prestigiosa Bauhaus e quindi a dovere in qualche modo rinnegare il suo concetto di arte.
Uno degli aspetti più potenti di The Brutalist è il modo in cui la storia personale di Laszlo si intreccia con gli eventi del XX secolo, trasformando il film in una cronaca intima e universale al tempo stesso. La narrazione attraversa periodi storici cruciali: l’Europa devastata dalla guerra, l’affermarsi degli Stati Uniti, non distrutti dalla guerra, come paese dominante, l’industrializzazione forzata del dopoguerra, l’emergere di una nuova élite capitalista che modella l’arte e la cultura secondo i propri interessi, le persecuzioni subite dagli ebrei, il sogno della terra promessa che diventa realtà, salvo trasformarsi anch’esso in una tragedia, l’arte che sopravvive alla devastazione della guerra.
Il film non si limita a raccontare la vita di un uomo, ma diventa un affresco storico che evidenzia le dinamiche di potere e le ingiustizie che hanno segnato il secolo scorso. Attraverso il destino di Laszlo, lo spettatore assiste al tramonto delle illusioni di un'intera generazione di intellettuali e artisti emigrati, che hanno trovato in America non solo una nuova patria, ma anche un nuovo teatro di lotta per l'affermazione della propria identità.
L'eredità dell'Olocausto permea tutta la vicenda: Laszlo e Erzsebet, la moglie che nel secondo atto raggiungerà finalmente il marito , ridotta su una sedia a rotelle per le gravi carenze nutrizionali subite nei lager, portano con sé il peso delle esperienze vissute nei campi di concentramento, e il film mostra come il trauma non sia mai veramente superabile. Erzsebet, in particolare, emerge come una figura tormentata, che fatica a conciliare il proprio passato con il nuovo mondo in cui si trova a vivere, ma nonostante ciò la storia d’amore con Laszlo rimane però un punto chiave della seconda parte del film, dove appunto funge da contraltare al conflitto anche interiore che colpisce il protagonista .  La memoria diventa quindi un fardello che ostacola il loro adattamento e rende ogni progresso professionale e personale carico di sofferenza.
L'architettura brutalista, con le sue forme rigide e materiali grezzi, portatrice dell'ideale di bellezza contenuto già nel materiale e quindi senza la necessità di plasmarlo, rappresenta l'anima di Laszlo: solida, intransigente, ma anche profondamente segnata dagli eventi della storia. Le sue costruzioni sono spogliate di ogni ornamento, esattamente come la sua esistenza, ridotta all'essenzialità dopo le tragedie vissute.
Il brutalismo diventa così una proiezione del suo dolore e della sua condizione di outsider: proprio come i suoi edifici, Laszlo è spesso percepito come freddo, estraneo e inaccessibile. Il suo linguaggio architettonico è un grido silenzioso contro l’omologazione, un rifiuto delle forme di bellezza convenzionale che il mercato dell'arte esige. Ma in questo stesso rigore si cela anche il suo tormento: ogni edificio che progetta è un monito alla sofferenza che lo ha reso ciò che è, e l’epilogo ambientato a Venezia nella 1° Biennale di Architettura dove Laszlo, ormai vecchio e in carrozzina, trova il riconoscimento artistico che inseguiva e meritava, è fondamentale per la comprensione della filosofia che sta dietro alla scelta brutalista.
Appare interessante notare come nella stessa stagione cinematografica due architetti siano i protagonisti di due opere destinate a lasciare il segno: Megalopolis di Francis Ford Coppola e appunto The Brutalist di Brady Corbet : entrambi i film presentano protagonisti che vedono nell'architettura un mezzo per plasmare il futuro e lasciare un'impronta duratura. Tuttavia, mentre in Megalopolis l’architetto protagonista è un visionario che vuole costruire una città utopica nonostante le resistenze del potere, in The Brutalist Laszlo è un uomo che deve combattere per far riconoscere il proprio talento in un sistema che lo sfrutta e lo schiaccia.
Se Coppola guarda alla costruzione di un’utopia, Corbet analizza la distruzione dei sogni sotto il peso della realtà. Megalopolis è un'opera sulla grandiosità e sull'ambizione, The Brutalist è una storia di resistenza e compromessi, dove la grandezza dell’arte si scontra con la meschinità del potere.
The Brutalist è un'opera straordinariamente ambiziosa che sfida lo spettatore con la sua densità tematica e la sua durata considerevole. 
Corbet costruisce un film che è al tempo stesso un dramma storico, un ritratto psicologico e una riflessione sul ruolo dell'arte nella società  che rendono questa pellicola un'esperienza cinematografica intensa e indimenticabile.
E’ durata circa dieci anni la gestazione di questo film, vuoi per i soliti problemi di finanziamento (enormi per un film indipendente) vuoi per la pandemia, sta di fatto che The Brutalist possiede le stigmate di quei film che passano alla storia, quelle opere monumentali che sono un palcoscenico maestoso su un racconto carico di emozione e di drammaticità; l’opera di Corbet, che ricordiamolo è il più europeo dei registi americani, possiede la grandezza del Cinema che sa trasportare, il cinema eroico, quello che ti tiene incollato sulla sedia e con gli occhi sullo schermo; non a caso il regista decide di utilizzare il sistema Vista Vision a 70 mm il cui ultimo utilizzo era stato negli anni 50, proprio per rendere il più reale e coinvolgente possibile l’esperienza visiva, alla quale concorre una fotografia ed un bianco e nero elegantissimi e glaciali nella loro bellezza  ed una colonna sonora di Daniel Blumberg sempre ben coerente con lo sviluppo narrativo.
Il cast è eccellente ma le prove di Adrien Brody e Guy Pearce , entrambi candidati all’Oscar, sono al limite della perfezione nella loro perfetta adesione ai rispettivi personaggi.
Ribadiamolo, non è un film per tutti: la sua narrazione frammentata, i suoi toni cupi e la sua lunghezza potrebbero scoraggiare alcuni spettatori. Tuttavia, per chi cerca un cinema che stimoli la riflessione e offra un'esperienza estetica e intellettuale di alto livello, The Brutalist rappresenta un capolavoro contemporaneo che lascia il segno, uno di quei film che entreranno di diritto tra quelli che fra 50 anni verranno ricordati; basterebbe un film come questo, ogni 2-3 anni ,a far sì che il Cinema abbia una ragione di esistere.

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