mercoledì 26 febbraio 2025

Queer ( Luca Guadagnino , 2024 )

 




Queer (2024) on IMDb
Giudizio: 5.5/10


Luca Guadagnino affronta con Queer una sfida complessa e a quanto pare perseguita per anni: adattare per il cinema uno dei testi più personali e difficili di William S. Burroughs. Il romanzo dal titolo omonimo, scritto nei primi anni '50 ma pubblicato solo nel 1985, rappresenta un tassello fondamentale della letteratura beat, non solo per il suo contenuto esplicitamente omosessuale, ma per la sua natura frammentaria, febbricitante, ossessiva e drammaticamente visionaria. 
Il film, presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, cerca di restituire l’essenza del libro con un rigore filologico che, tuttavia, finisce per limitarne l’efficacia cinematografica; come ogni opera di Guadagnino anche Queer ha creato una profonda divisione riguardo ai giudizi espressi dalla critica: capolavoro (o quasi) per qualcuno , deludente e scialbo per altri, confermando una caratteristica del cinema di Guadagnino capace di suscitare sentimenti diametralmente opposti.
Il protagonista della storia è William Lee , un alter ego trasparente di Burroughs, che vaga per  Città del Messico dove si è rifugiato per sfuggire alla legge americana che perseguita i tossicodipendenti, una pistola sempre nella fondina , in bella vista, come si fosse in un western metropolitano; passa il tempo con altri americani rifugiati oltre confine in locali per gay in cerca di avventure estemporanee almeno finchè non compare il giovane Gene Allerton ,  anche lui americano probabilmente in fuga anch’esso, uomo con cui intrattiene un rapporto ambiguo e irrisolto. 
Tra bar decadenti, stanze d’hotel impregnate di solitudine e un Sud America esotizzato ma mai realmente afferrato, il film segue il percorso errante del protagonista, accompagnandolo nella sua deriva esistenziale, che nella parte centrale prende una direzione autenticamente allucinata e visionaria, imperniata dalla ricerca nel Sud America di una pianta che aumenterebbe le capacità telepatiche.
Guadagnino opta per una trasposizione fedele, quasi reverente, del romanzo. I monologhi interiori di Lee, carichi di desiderio e disperazione, vengono tradotti in voice-over, e le situazioni ripetitive, quasi ossessive, in cui il protagonista cerca di catturare l’attenzione di Gene sono riproposte con una pedanteria che, se da un lato rispetta la struttura del libro, dall’altro rischia di appesantire il film. 
La fedeltà al testo, pur rispettosa, soffoca la possibilità di una vera reinterpretazione cinematografica, lasciando la pellicola priva di un’identità autonoma; l’impressione più forte che rimanda Queer è quella di un film confezionato con l’unica  finalità di esaltare il testo di riferimento e di farlo assurgere a soggetto cinematografico scintillante.
Uno degli aspetti più interessanti di Queer, sebbene non sviluppato compiutamente per la scelta quasi aprioristica della fedeltà al testo, è la sua esplorazione dell’ossessione amorosa come sintomo di una più profonda alienazione esistenziale. 
William Lee non è semplicemente innamorato di Gene: è ossessionato da lui, lo insegue con un bisogno che rasenta la dipendenza. Questa dinamica riflette il senso di spaesamento e di esclusione che Burroughs stesso provava, amplificato dal senso di colpa per la tragica morte della moglie Joan Vollmer, uccisa accidentalmente da lui in un gioco al bersaglio.



Accanto alla tematica del desiderio irrealizzabile, il film affronta il tema della dipendenza, sebbene in modo meno esplicito rispetto ad altri adattamenti di Burroughs (Il pasto nudo, di David Cronenberg, ad esempio, ne fa un elemento centrale). Qui la droga è più un sottotesto che un protagonista, uno status che il protagonista vive come simbolo del suo dolore interiore ,mentre il vero centro del racconto è il bisogno compulsivo di un altro essere umano, con il quale è impossibile stabilire una relazione soddisfacente.
Se la prima parte del film si concentra sull’ossessione amorosa e sulla deriva esistenziale di Lee, è nella parte centrale che Guadagnino introduce una dimensione più marcatamente allucinatoria e psichedelica. Mentre il protagonista e Gene si spostano verso l’interno del Sud America alla ricerca di una pianta con proprietà telepatiche, la narrazione si sfalda progressivamente, trasformandosi in un viaggio lisergico tra percezioni alterate e allucinazioni disturbanti.
Guadagnino utilizza effetti visivi come distorsioni dell’immagine, sfocature e una fotografia che vira su toni acidi e surreali per immergere lo spettatore nella mente frammentata di William Lee. Sequenze che mescolano realtà e immaginazione si susseguono in un crescendo ipnotico, con scene che evocano l’instabilità psichica del protagonista attraverso montaggi sincopati e bruschi cambi di prospettiva.
In questo frangente, il film riesce a distaccarsi per un attimo in maniera più netta dal rigore letterario per abbracciare un’estetica più libera, ispirata tanto al cinema sperimentale quanto all’opera di tanti registi che hanno fatto della psichedelia il loro credo cinematografico . 
Il viaggio psichedelico di Lee, segnato da incontri con personaggi enigmatici e simbolici, funge da metafora per la sua incapacità di distinguere tra desiderio e realtà, tra memoria e proiezione fantastica.
Visivamente, Queer è un film che conferma il gusto estetico impeccabile e l’eleganza del cinema  di Guadagnino. La ricostruzione quasi fumettistica di Città del Messico ( Cinecittà Studios)  degli anni '50 è dettagliata, con colori caldi e saturi che contrastano con l’atmosfera malinconica della narrazione. La fotografia di Sayombhu Mukdeeprom, già collaboratore del regista in Chiamami col tuo nome, avvolge il film in una luce morbida, a tratti allucinata, contribuendo a creare un senso di sospensione temporale; da questo punto di vista il film ha il suo valore proprio perché la cifra stilistica di Guadagnino regala un impatto visivo notevole.
Tuttavia, se lo stile visivo è ricercato, la regia appare spesso trattenuta, quasi ingabbiata dal rispetto per il testo. Guadagnino, solitamente capace di infondere passione e sensualità nei suoi film, qui sembra adottare un approccio più controllato, quasi accademico, persino didascalico: le scene si susseguono con una certa rigidità, e il ritmo ripetitivo, pur in linea con il carattere ossessivo del protagonista, può risultare alienante per lo spettatore.
Il principale difetto di Queer risiede proprio nella sua eccessiva fedeltà al materiale originale. Burroughs è un autore la cui scrittura vive di ritmo interiore, di flussi di coscienza, di ellissi e frammenti. Trasporre questa scrittura in immagini richiedeva forse un approccio più radicale, capace di tradurre la sua prosa in un linguaggio visivo più libero e sperimentale. Guadagnino, invece, sceglie una regia che illustra il testo più che reinventarlo, lasciando il film in una sorta di limbo: troppo letterario per essere un’esperienza cinematografica pienamente soddisfacente, e troppo contenuto per restituire l’anarchia emotiva del libro.
Queer è un film  visivamente curato, che cerca di catturare l’atmosfera del romanzo di Burroughs ma fatica a trovare una sua voce autonoma; sembra a tratti una patinata opera finalizzata solo alla ricerca ossessivamente filologica aderente al riferimento letterario. 
Per chi ama Burroughs e il cinema di Guadagnino, Queer sarà un’esperienza interessante, ma per chi cerca un adattamento che traduca l’intensità della scrittura in un’esperienza cinematografica innovativa, potrebbe rivelarsi un’occasione mancata; per chi invece ha sempre guardato con un insinuante dubbio all’opera del regista palermitano  troverà conferma nell’idea che saper costruire una pellicola valida dal punto di vista visivo non sia sufficiente a farne un’opera riuscita a prescindere.



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