Giudizio: 7.5/10
Per il suo ultimo e osannatissimo lavoro, pluricandidato agli Oscar e ai Golden Globe, Luca Guadagnino porta sullo schermo il romanzo omonimo di Andrè Aciman su sceneggiatura di James Ivory.
Rimanendo fedele al testo letterario il regista palermitano ambienta la storia nel 1983, in "qualche zona del nord Italia", come recita la sovraimpressione iniziale, facilmente individuabile nella regione a cavallo tra bresciano e bergamasco.
In una splendida villa d'epoca vive il diciassettenne Elio, figlio di un illustre archeologo che ogni anno ospita nella magione un neolaureato con cui lavorare ad alcuni studi del settore; in quell'anno il ragazzo prescelto è Oliver, americano ventiquattrenne, ebreo anche lui come il professore e la sua famiglia.
L'arrivo del giovane americano, spigliato, sfrontato, apparentemente anche superficiale, va a disturbare la quiete di Elio, ragazzo introverso, silenzioso,tutta lettura e musica nella quale esprime un talento eccezionale.
Ben presto però il turbamento prenderà piede in Elio che si sente violentemente attratto da Oliver; non siamo però di fronte alla classica tresca gay che tanti lavori spacciano come rivoluzionaria e coraggiosa storia d'amore che porta però con sè tematiche dozzinali; il rapporto che dapprima lentamente nasce tra i due è infatti qualcosa che passa dalla quasi indifferenza , all'amicizia, per finire all'innamoramento tra due persone che non si dichiarano certo gay ( Elio ha la sua fidanzatina, Oliver cede da buon vanitoso alle insistenze delle ragazzine del posto che gli corrono dietro).
Ed è proprio questo il punto in cui Chiamami col tuo nome riesce a distinguersi: il racconto di una attrazione che si presenta sotto varie forme ( la cottarella estiva, l'amicizia e l'ammirazione, la scoperta di un sentimento forte probabilmente mai provato prima) ma che mai travalica il buongusto (cinematograficamente inteso), lasciando da parte l'anelito allo scandalo e alle scene audaci.
Vedere Chiamami col tuo nome è un po' come rileggere quei romanzi di Cassola che rimandano ai tempi delle vacanze , nei quali immersi nel sole si consumano i primi tormenti d'amore, perchè la scelta che fa Guadagnino è quella di contestualizzare il racconto rimanendo fedele al testo letterario ambientandolo nella torrida estate padana.
Man mano che la storia procede il cerchio sembra stringersi intorno alle due figure di Elio e Oliver che diventano il centro di gravità del film: gli iniziali sguardi, i corpi seminudi distesi al sole,i primi approcci, le resistenze di Oliver, i primi baci, lo scoppio della passione e poi quasi la vergogna reciproca e tanto altro che ribolle in un racconto incastonato in una ambientazione d'epoca efficace pur senza essere opprimente (qualche canzone, le vecchie Fiat 128 e 127, qualche sproloquio di troppo di una coppia infatuata di Craxi che diventa Presidente del Consiglio alla guida del pentapartito).
Una storia di amicizia amorosa che crea turbamenti, incertezze sulla propria sessualità e che Guadagnino impronta più sul tormento che il godimento, sul rimpianto per il tempo perso e sulla separazione irreversibile che in alcuni tratti assume atmosfere trascendentali, eteree, prive di spazio e tempo.
Un paio di aspetti però vanno a minare la perfetta riuscita del film: il sottofinale col pistolotto paterno che parte con il classico "io so che tu sai che io so" e finisce con una ammissione che affonda le radici nel tempo e soprattutto una certa antistoricità relativa a come in tutto il film viene affrontato l'amore omosessuale: non va dimenticato che siamo nei primi anni 80 quando i costumi ( e le coscienze) erano certamente meno liberi di adesso e quindi l'apparente "normalità" con cui non solo i genitori ma tutto l'ambiente che circonda i protagonisti si pone di fronte alla storia d'amore tra i due giovani appare francamente un po' forzata; non si vuole qui certo auspicare che l'omofobia che regnava ( e che ancora persiste) nella nostra società andasse evocata e amplificata, ma anche l'atteggiamento opposto, nel contesto storico di cui si parla, sembra quanto meno troppo superficiale.
Chiamami col tuo nome è comunque film valido, non il capolavoro cui si grida, ma certamente un lavoro ben fatto, elegante, raffinato nel suo senso puramente artistico pur considerando quel paio di aspetti poco convincenti.
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