Giudizio: 6/10
Siamo nella Londra degli anni 50 ormai uscita dai drammi della guerra, la grande borghesia e la nobiltà che si appoggia alle tradizioni della corona, stanno riprendendo in mano le sorti del paese; Reynolds Woodcock è un rinomato stilista che influenza la moda del paese , un personaggio che sta a metà tra la figura iconica della moda e l’artista, coadiuvato dalla sorella-socia-consigliera Cyril.
L’ultimo lavoro di Paul Thomas Anderson (ovviamente pluricandidato agli Oscar) è incentrato proprio su questo personaggio, attraverso la costruzione di un profilo che indubbiamente è molto ben strutturato: Reynolds è il classico genialoide altezzoso, fortificato nelle sue manie ossessive, nella sua routine incrollabile, legatissimo al suo lavoro che affronta veramente come se fosse un artista, e come tutti gli artisti è profondamente inquieto nel suo animo nel ricordo della madre morta , nel legame quasi morboso con la sorella-socia e nell’ideale di una arte di vestire che deve essere anzitutto il completamento e l’arricchimento della grazia e dello spessore di chi indossa le sue creazioni.
Poi Reynolds, quasi come fosse colpito da un fulmine, incontra in una ristorante di provincia una cameriera, Alma, che nell’arco di brevissimo tempo diventa la sua modella, la sua ispirazione ed infine la sua amante; un incontro che sembra avere un effetto deflagrante sullo stilista almeno fino a quando, una volta che la ragazza si è trasferita a vivere da lui, il contrasto tra l’alterigia quasi regale dell’uomo e la semplicità della donna entrano inevitabilmente in contrasto.
Alma da parte sua ama Reynolds di un amore totalizzante, nonostante affronti la differenze che li dividono con grande coraggio e forza d’animo.
Fino a qui il film di Anderson ha il suo valore indiscusso: ricostruzione d’epoca molto accurata ed elegante, sguardo fortemente sarcastico sulla grande borghesia che pensa sia sufficiente indossare un abito firmato da un artista per essere elegante, costruzione dei due personaggi principali profonda al punto giusto, descrizione equilibrata di un rapporto amoroso sbilanciato, sempre in bilico tra dipendenza e sopraffazione.
Quando però la storia si affida allo snodo fondamentale che dia un senso a quell’amore così avvolgente e precario allo stesso tempo, Il filo nascosto inciampa fragorosamente su scelte di sceneggiatura molto poco convincenti, al punto che la pellicola inizia a scivolare verso il thriller psicologico (appena accennato a dire il vero) con una chiusura del cerchio finale che non fa altro che distruggere o quasi tutto quanto di buono era stato messo in piedi con eleganza stilistica.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it
Paul Thomas Anderson sempre più bravo come regista, sempre meno bravo come sceneggiatore...
RispondiEliminadovrebbe bilanciare meglio le cose.