lunedì 8 dicembre 2025

The New Year That Never Came ( Bogdan Muresanu , 2024 )

 



IMDB

Giudizio: 8/10

Con The New Year That Never Came, il regista romeno Bogdan Mureșanu firma il suo lungometraggio d’esordio, un’opera che affonda le radici nella memoria collettiva e personale, affrontando uno dei momenti più traumatici e al tempo stesso fondamentali della storia recente della Romania: la caduta del regime di Nicolae Ceaușescu e la fine del comunismo nel dicembre del 1989. A trentacinque anni da quegli eventi, Mureșanu sceglie di guardare indietro con lo sguardo duplice di chi allora era un adolescente – aveva appena quindici anni – e di chi oggi, adulto e regista, tenta di dare forma cinematografica a un trauma storico ancora irrisolto, stratificato tra il mito, la disillusione e la memoria personale.
Il film si apre nei giorni convulsi tra Natale e Capodanno del 1989 , culminati con l’esecuzione di Ceaușescu e della moglie Elena, con il paese che si trova improvvisamente senza guida, sospeso tra euforia e paura. 
Mureșanu costruisce una narrazione corale, intrecciando le vite di diversi personaggi che rappresentano, ciascuno a modo suo, una parte del mosaico sociale di quell’epoca e che praticamente si sfiorano soltanto dal punto di vista narrativo ma che esprimono ognuno un particolare settore della società romena dell’epoca: ufficiali dell’esercito, agenti della temutissima Securitate, attori in crisi , operai usati per la propaganda, ragazzini che si ritrovano ad essere senza alcuna volontà spie che rischiano di minare la famiglia.
Questi volti non sono tanto figure individuali quanto simboli collettivi, incarnazioni di una nazione che si scopre improvvisamente senza punti di riferimento, costretta a guardare dentro se stessa per capire cosa significhi libertà dopo decenni di menzogna e paura. Mureșanu, che in passato si era fatto notare con il cortometraggio The Christmas Gift , già dedicato al clima surreale degli ultimi giorni del regime, amplia qui quella prospettiva, trasformando il racconto intimo in una cronaca esistenziale e politica, dove ogni gesto quotidiano è carico di ambiguità morale.
Il titolo, The New Year That Never Came, suggerisce subito la dimensione sospesa del tempo: un Capodanno che non arriva mai, simbolo di una promessa mancata, di un “nuovo inizio” che resta imprigionato tra il desiderio di cambiamento e la paura del vuoto.
Mureșanu costruisce il film come un lungo crepuscolo, dove la luce grigia e invernale di Bucarest si mescola alle ombre della notte, e dove il rumore lontano degli spari si confonde con quello dei fuochi d’artificio. È un mondo in transizione, né più comunista né ancora libero, dove la verità è continuamente riscritta da chi detiene, anche solo per un giorno, il controllo del potere e della parola.
La struttura narrativa non è lineare: Mureșanu frammenta il racconto in episodi paralleli che si incrociano in modo apparentemente casuale, ma che progressivamente rivelano una precisa architettura simbolica. 



L’approccio registico di Mureșanu è sobrio, controllato, quasi documentaristico, ma la sua freddezza visiva è bilanciata da una profonda tensione emotiva. Le inquadrature fisse e i piani medi dominano la messa in scena, mentre la macchina da presa raramente si muove: osserva, attende, lascia che siano gli sguardi e i silenzi a parlare. In questa immobilità apparente, si avverte però un continuo fremito, una vibrazione interiore che restituisce al film una densità morale e umana straordinaria.
Non c’è enfasi patriottica né celebrazione eroica: Mureșanu rifiuta la retorica della rivoluzione per restituire piuttosto il disorientamento collettivo di un paese che cambia senza capire cosa stia realmente succedendo. 
È un film sulla fine di un mondo, ma anche sull’incapacità di riconoscere l’inizio di un altro. In questo senso, The New Year That Never Came si colloca idealmente accanto a opere come A est di Bucarest di Corneliu Porumboiu o La morte del signor Lazarescu di Cristi Puiu, condividendo con il Nuovo Cinema Romeno la volontà di interrogare la Storia attraverso lo sguardo dei suoi testimoni anonimi.
Pur essendo il suo esordio nel lungometraggio, Mureșanu dimostra una sorprendente maturità narrativa e formale. La sua regia è priva di compiacimento, essenziale ma precisa, sempre attenta ai dettagli che definiscono l’atmosfera: una radio che gracchia notizie contraddittorie, un albero di Natale spento in un appartamento gelido, un brindisi improvvisato con bicchieri di plastica e lacrime. Tutto concorre a costruire un clima di sospensione che restituisce la sensazione di un tempo congelato, di una festa che non arriva mai.
Nell’affrontare i fatti di un’epoca che coincide con la propria adolescenza, il regista trasforma il film in una ricerca autobiografica e generazionale, una riflessione su cosa significhi crescere in un paese in cui il confine tra paura e libertà si ridefinisce da un giorno all’altro. La memoria individuale diventa così parte della memoria collettiva, e viceversa, in un continuo scambio tra intimo e storico.
Presentato in anteprima internazionale alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2004 dove nella sezione collaterale Orizzonti ha ricevuto il premio come miglior film oltre al premio FIPRESCI della critica, The New Year That Never Came è stato accolto con grande favore dalla critica in numerosi festival nei quali è stato presentato che ne ha lodato la finezza psicologica, la scrittura misurata e la capacità di restituire un periodo complesso senza ricorrere a facili schematismi. 
In ultima analisi, il film di Mureșanu è una riflessione sul tempo e sulla disillusione, su quel momento in cui la Storia irrompe nella vita privata e la travolge. È un film sulla promessa mancata di un nuovo anno, di una nuova era, che non è mai davvero arrivata. Ma è anche un atto di resistenza contro l’oblio, un tentativo di fissare su pellicola il passaggio fragile e indecifrabile tra dittatura e democrazia, tra infanzia e maturità, tra paura e speranza.
Con The New Year That Never Came, Bogdan Mureșanu firma un film importante, carico di significati, rigoroso e profondamente umano, che riesce a restituire la verità di un’epoca non attraverso la ricostruzione storica, ma tramite la vibrazione dei corpi e dei silenzi, delle attese e delle parole taciute. È il film di un regista che guarda al passato per comprendere il presente, e che nel farlo costruisce una delle più intense riflessioni contemporanee sulla memoria dell’Europa dell’Est e sul fragile confine tra storia e identità.

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