Maledizioni in serie
Uno scorrere impetuoso di maledizioni e di vendette segna la trama di Apparition, lavoro del regista Hideo Nakata, cui il cinema giapponese deve molto per il rilancio in grandissimo stile del J horror, grazie a due fondamentali opere come Ringu e Dark water.
Ambientato nel periodo Edo e introdotto da un prologo con narrazione fuoricampo in cui si racconta la storia dell'usuraio ucciso dal samurai che non vuole saldare i suoi conti, veniamo subito investiti dalla primigenia maledizione del vecchio morente, il tutto descritto in un bianco e nero patinato e quasi fumettistico, con conseguente immancabile scia di sangue e mistero.
Venti anni dopo sono gli eredi dei due protagonisti ad entrare in contatto, ignari del luttuoso antefatto, ma attratti da un destino che sembra avere disegnato per loro già il percorso e la fine e il procedere della storia ci immerge ancora di più nella maledizione e nel rancore: la donna ,accecata dalla gelosia per il giovane amante, in punto di morte scaglierà il suo dardo maledetto e la sua presenza , intrisa di amore e odio, sarà sempre palpabile al fianco dell'amato, a rammentare come dal proprio destino scritto nel sangue non ci si può sottrarre.
Il crescendo di amore e morte troverà fine solo nell'epilogo, che grottescamente stende il suo velo proprio su quella palude, crocevia dei destini e delle maledizioni.
Il crescendo di amore e morte troverà fine solo nell'epilogo, che grottescamente stende il suo velo proprio su quella palude, crocevia dei destini e delle maledizioni.
Anche stavolta Nakata sa dare corpo ad una storia di fantasmi e di morte col consueto piglio del grande regista, soprattutto nell'ambientazione supportata da una fotografia bellissima, mostrando quell'eleganza formale che è sempre più marchio di fabbrica inconfondibile del regista.
La narrazione a dire il vero in alcuni punti zoppica non poco, ogni qualvolta si allontana dalla perturbante presenza di Toyoshiga (una bravissima Kumiko Aso), vera catalizzatrice di tutto il film, ma il regista comunque riesce a mantenere un livello di attenzione e di tensione accettabili per raggiungere le vette più alte nei momenti in cui si impone fortissimo il senso di amore ossessivo che domina anche dall'oltretomba: è un fantasma che ancor prima di essere assetato di immancabile vendetta, vaga sopraffatto dal dolore per l'ossessione che lo divora.
Non siamo senz'altro sui livelli di eccellenza cui Nakata ci ha abituato, ma il film è senz'altro valido grazie alla capacità del regista di dosare una misurata austerità con il coinvolgimento emotivo.
La narrazione a dire il vero in alcuni punti zoppica non poco, ogni qualvolta si allontana dalla perturbante presenza di Toyoshiga (una bravissima Kumiko Aso), vera catalizzatrice di tutto il film, ma il regista comunque riesce a mantenere un livello di attenzione e di tensione accettabili per raggiungere le vette più alte nei momenti in cui si impone fortissimo il senso di amore ossessivo che domina anche dall'oltretomba: è un fantasma che ancor prima di essere assetato di immancabile vendetta, vaga sopraffatto dal dolore per l'ossessione che lo divora.
Non siamo senz'altro sui livelli di eccellenza cui Nakata ci ha abituato, ma il film è senz'altro valido grazie alla capacità del regista di dosare una misurata austerità con il coinvolgimento emotivo.
Nakata raramente fallisce e questo lavoro, pur rimanendo molto, molto distante da ringu è bello e concordo nella bellissima figura del fantasma che cerca vendetta nella sua ossessione.
RispondiEliminaNon è il Nkata di ringu e neppure di dark water, ma anche se non eccelso è pur sempre un film buono.
RispondiElimina