lunedì 9 maggio 2011

Buddha mountain ( Li Yu , 2011 )

Giudizio: 8/10
La meta del viaggio


E' senz'altro una delle più belle sorprese del panorama cinematografico del 2011 questo Buddha mountain della regista indipendente cinese Li Yu, un film che con delicatezza e con molta profondità va a scrutare all'interno dei protagonisti, lasciando per una volta lontano il nuovo stile di vita cinese, facendo leva sulla forza spirituale e sul traino della memoria.
Il racconto, molto poco movimentato come trama, narra di tre giovani di Chengdu nella provincia del Sichuan, ognuno a modo suo segnato dalla vita nonostante la giovane età , uniti proprio da questo comune background famigliare devastato: padri alcolizzati, madri morte, rapporti incancreniti,odio strisciante, tutto concorre a fare di Nang Fe , Ding Bo e Fei Zao, tre entità unite nel dolore e nell'incertezza, prive di una stabilità, ribelli incattiviti ma , nel profondo, dai principi nobili.

L'incontro con la signora Chang, presso cui vanno ad abitare in affitto, donna straziata anch'essa dal dolore e dall'apparenza scorbutica, all'iniziale difficoltà che crea sconcerto si trasforma presto in un rapporto salvifico per tutti: per la donna che inizia ad uscire dal suo tunnel di disperazione per la morte del figlio giovanissimo, per i tre ragazzi che riconoscono nella vita straziata della donna un comune denominatore con la loro.
Il metaforico e simbolico viaggio verso il santuario buddhista abbarbicato sulla montagna dove i nodi delle loro vite vengono sciolti definitivamente, chiude il film in una aurea di pura spiritualità sincera e non di maniera.
Già nella scelta di utilizzare la macchina da presa a mano che bracca i protagonisti inseguendoli, la regista fa una scelta di campo ben precisa: raccontare le cose come avvengono e viverle da dentro, avvalendosi di un montaggio sincopato, ma non fastidioso, accompagnato da una colonna sonora calzante a pennello, delegare alle lunghe immagini dei volti dei protagonisti il racconto dell'anima, schivare con attenzione immagini patinate di una Cina moderna e luminosa , privilegiando invece le immagini in cui regna la nebbia di cui si ha l'impressione di sentirne l'odore acre e fumoso, fatte di ciminiere e di fabbriche, addirittura inserendo delle immagini di repertorio del tremendo terremoto che ha colpito la regione nel 2008 ed infine porre a meta ultima di un viaggio interiore un vecchio e diroccato santuario buddhista nel quale la forza dello spirito sembra affermarsi su tutto regalando risposte ad un futuro incerto che in qualche modo spaventa tutti i protagonisti.
La contrapposizione tra generazioni così diverse , seppur non troppo distanti cronologicamente, si snoda in tutta la storia, si contrappone, sembra fare a pugni, ma trova nella meta di un storia che è tutta on the road un punto di congiunzione.
Li Yu ha costruito un piccolo gioiello dai grandi contenuti, in cui la poesia della vita permea ogni momento della narrazione e fa di Buddha mountain un lavoro da vedere assolutamente e che trasmette una profonda tenerezza per i quattro protagonisti.
Accanto alla stupenda Sylvia Chang, che finalmente dopo 5 anni torna davanti alla macchina da presa nel ruolo della signora Chang, donandogli  umanità e  tensione interiore, troviamo , più bella e brava che mai una Fan Bingbing strepitosa, eccellente nel sapere mostrare il volto quasi truce di Nang Fe e al contempo la sua commovente fragilità, Berlin Chan anch'egli bravo nei panni di Ding Bo, forse il più tormentato tra i personaggi e Fei Long nella parte dell'enorme e simpatico Fei Zao.

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