L'etica e la morale contrapposte al potere
Ambiziosissimo progetto quello del regista cinese Hu Mei di raccontare, seppur parzialmente, la figura di un personaggio della grandezza e dell'importanza di Confucio, e come sempre quando si approntano simili operazioni il risultato lascia molte zone d'ombra, soprattutto in relazione alla incapacità di sintetizzare nelle canoniche due ore il ritratto di una personaggio complesso che richiede anche uno studio storico e culturale non indifferente.
L'epoca presa in considerazione dal film si rifersce al periodo della vita del grande Maestro che va dalla sua ascesa alle più alte cariche del regno di Lu fino al suo ritorno, decenni dopo, dall'esilio e dalle sue peregrinazioni fra i vari regni che componevano l'assetto politico frammentatissimo dell'epoca.
Le vicende storiche, a dire il vero molto complesse, fanno da sottofondo al racconto della vita di Confucio , soprattutto riguardo alla sua filosofia basata sull'etica individuale , sulla morale e sul rispetto delle tradizioni e dei suoi riti che si contrappongono violentemente alle dispute politiche, alle trame e alla violenza del potere e del suo esercizio; per fare questo però il regista non scava troppo nella personalità del Maestro, le sue enunciazioni filosofiche sembrano più aforismi gettati al vento e ad una platea di discepoli, ma soprattutto tutta la pellicola soffre di una eccessiva frammentazione , risultato di probabili e vasti tagli che rendono la narrazione a volte incoerente e zoppicante.
Come tutto il cinema cinese che guarda alla sua storia millenaria, anche Confucio è impregnato di quel sentimento popolare che serve a renderlo fruibile alle grandi masse con lo scopo di nobilitare il nazionalismo, e questa scelta che indubbiamente da i suoi frutti nei lavori a sfondo epico, in questo caso penalizza l'aspetto più squisitamente filosofico e morale, che sarebbe stato senz'altro di maggior interesse.
Come detto , va riconosciuto che l'operazione non era per nulla facile, soprattutto in considerazione della necessità di costruire un film popolare con lo stampo del kolossal in cui però la figura morale del filosofo non fosse troppo messa in secondo piano, motivo per cui il film alla fine non rispetta nè una scelta nè l'altra.
La straordinara interpretazione di Chow Yun-fat per fortuna consente all'opera di tenersi saldamente in piedi, grazie alle sue grandissime capacità recitative che ben disegnano la figura di un uomo che lentamente si allontana dalla sua realtà quotidiana fatta di guerre e violenze per approdare alla condizione di filosofo dell'etica ed educatore: la folta capigliatura e la abnorme barba lunga donano una forza magnetica a Chow che conferma con questa sua prova la sua grandezza regalandogli di diritto un posto nell'Olimpo del più grandi attori viventi.
L'epoca presa in considerazione dal film si rifersce al periodo della vita del grande Maestro che va dalla sua ascesa alle più alte cariche del regno di Lu fino al suo ritorno, decenni dopo, dall'esilio e dalle sue peregrinazioni fra i vari regni che componevano l'assetto politico frammentatissimo dell'epoca.
Le vicende storiche, a dire il vero molto complesse, fanno da sottofondo al racconto della vita di Confucio , soprattutto riguardo alla sua filosofia basata sull'etica individuale , sulla morale e sul rispetto delle tradizioni e dei suoi riti che si contrappongono violentemente alle dispute politiche, alle trame e alla violenza del potere e del suo esercizio; per fare questo però il regista non scava troppo nella personalità del Maestro, le sue enunciazioni filosofiche sembrano più aforismi gettati al vento e ad una platea di discepoli, ma soprattutto tutta la pellicola soffre di una eccessiva frammentazione , risultato di probabili e vasti tagli che rendono la narrazione a volte incoerente e zoppicante.
Come tutto il cinema cinese che guarda alla sua storia millenaria, anche Confucio è impregnato di quel sentimento popolare che serve a renderlo fruibile alle grandi masse con lo scopo di nobilitare il nazionalismo, e questa scelta che indubbiamente da i suoi frutti nei lavori a sfondo epico, in questo caso penalizza l'aspetto più squisitamente filosofico e morale, che sarebbe stato senz'altro di maggior interesse.
Come detto , va riconosciuto che l'operazione non era per nulla facile, soprattutto in considerazione della necessità di costruire un film popolare con lo stampo del kolossal in cui però la figura morale del filosofo non fosse troppo messa in secondo piano, motivo per cui il film alla fine non rispetta nè una scelta nè l'altra.
La straordinara interpretazione di Chow Yun-fat per fortuna consente all'opera di tenersi saldamente in piedi, grazie alle sue grandissime capacità recitative che ben disegnano la figura di un uomo che lentamente si allontana dalla sua realtà quotidiana fatta di guerre e violenze per approdare alla condizione di filosofo dell'etica ed educatore: la folta capigliatura e la abnorme barba lunga donano una forza magnetica a Chow che conferma con questa sua prova la sua grandezza regalandogli di diritto un posto nell'Olimpo del più grandi attori viventi.
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