L'ambiguità e il tacere ci salverà
E' lo specchio di alcuni dei mali che affligono la società giapponese (e non solo), questo lavoro di Isao Yukisada, regista finora conosciuto più per film ben poco indimenticabili: rapporti umani labili, alienazione, conformismo, disagio giovanile, deresponsabilizzazione, tutti temi cui il cinema giapponse ha attinto a piene mani negli ultimi anni per affermare un male di vivere universale che conduce all'annichilimento.
L'inizio sembra richiamare un po' 2LDK di Yukihiko Tsutsumi e un po' la serie televisiva di enorme successo Friends; in una casa vivono quattro giovani, tutti più o meno caratterizzati negli stereotipi: la disoccupata in perenne atteggiamento estatico di fronte alla tv nella visione del suo fidanzato, star di soap, lo studente che bigellona, studia poco e che se la fa con la ragazza del suo migliore amico, la illustratrice , un po' femme fatale, spesso sbronza dopo serate passate nei gay bar, il professionista in carriera che lavora nel mondo del cinema. Li vediamo andare e venire sullo schermo, quasi fosse una tv comedy, sfiorandosi solo fugacemente e vivendo ognuno i suoi stati d'animo in piena solitudine.
Quando una mattina compare un biondo ossigenato, gigolò per gay, sdraiato bellamente sul divano, che nessuno sa come e quando sia entrato in casa, qualcosa sembra modificarsi: il ragazzotto, quasi una versione nipponica del protagonista di Ferro3, diviene la classica ancora di salvezza per tutti gli abitanti della casa che sembrano aver trovato qualcuno con cui condividere le loro storie di vita.
Fra tante chiacchiere,spesso anche fastidiose ed inconcludenti, tra cui una disquisizione cinematografica su 2001 Odissea nello spazio piuttosto oscura, piccoli veli squarciati sulle storie personali, una attesa per qualcosa che sembra dovere accadere da un momento all'altro(e che sta accadendo ma non ce ne accorgiamo), il film giunge all'epilogo, con gli ultimi 5 minuti che risultano i migliori del film e che forse spiegano molto più e molto meglio di tante altre dissertazioni.
Nel complesso il film si lascia vedere, attingendo forse un po' troppo a piene mani a tematiche spesso abusate, senza approfondirne nessuna in particolare, lasciando una selva di fili pendenti che non vengono riannodati e indulgendo in maniera esagerata in momenti di pura verbosità; anche la sceneggiatura stenta in alcuni punti troppo infarcita di buchi neri ; solo nella scena finale sa indirizzare bene il messaggio che colpisce in effetti con gran precisione: tutti sanno,ma conservare l'ambiguità, tacere e far finta di nulla è meglio per non rompere il microcosmo che funge da campana protettrice.
L'inizio sembra richiamare un po' 2LDK di Yukihiko Tsutsumi e un po' la serie televisiva di enorme successo Friends; in una casa vivono quattro giovani, tutti più o meno caratterizzati negli stereotipi: la disoccupata in perenne atteggiamento estatico di fronte alla tv nella visione del suo fidanzato, star di soap, lo studente che bigellona, studia poco e che se la fa con la ragazza del suo migliore amico, la illustratrice , un po' femme fatale, spesso sbronza dopo serate passate nei gay bar, il professionista in carriera che lavora nel mondo del cinema. Li vediamo andare e venire sullo schermo, quasi fosse una tv comedy, sfiorandosi solo fugacemente e vivendo ognuno i suoi stati d'animo in piena solitudine.
Quando una mattina compare un biondo ossigenato, gigolò per gay, sdraiato bellamente sul divano, che nessuno sa come e quando sia entrato in casa, qualcosa sembra modificarsi: il ragazzotto, quasi una versione nipponica del protagonista di Ferro3, diviene la classica ancora di salvezza per tutti gli abitanti della casa che sembrano aver trovato qualcuno con cui condividere le loro storie di vita.
Fra tante chiacchiere,spesso anche fastidiose ed inconcludenti, tra cui una disquisizione cinematografica su 2001 Odissea nello spazio piuttosto oscura, piccoli veli squarciati sulle storie personali, una attesa per qualcosa che sembra dovere accadere da un momento all'altro(e che sta accadendo ma non ce ne accorgiamo), il film giunge all'epilogo, con gli ultimi 5 minuti che risultano i migliori del film e che forse spiegano molto più e molto meglio di tante altre dissertazioni.
Nel complesso il film si lascia vedere, attingendo forse un po' troppo a piene mani a tematiche spesso abusate, senza approfondirne nessuna in particolare, lasciando una selva di fili pendenti che non vengono riannodati e indulgendo in maniera esagerata in momenti di pura verbosità; anche la sceneggiatura stenta in alcuni punti troppo infarcita di buchi neri ; solo nella scena finale sa indirizzare bene il messaggio che colpisce in effetti con gran precisione: tutti sanno,ma conservare l'ambiguità, tacere e far finta di nulla è meglio per non rompere il microcosmo che funge da campana protettrice.
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