venerdì 10 febbraio 2012

Spring fever / 春风沉醉的晚上 ( Lou Ye / 娄烨 , 2009 )

Giudizio: 7.5/10
Triangoli amorosi

Premiato a Cannes per la migliore sceneggiatura, l'ultimo lavoro di Lou Ye ha visto la luce solo grazie allo sforzo produttivo franco-HKese che ha permesso di aggirare l'inibizione di cinque anni imposta dalla censura al regista, reo di avere violato nel suo precedente Summer Palace ,uno dei sarcofagi nascosti e proibiti della società cinese e cioè la rivolta studentesca del 1989 culminata nel massacro di Piazza Tienanmen.
Nella ipotetica classifica dei registi più censurati sicuramente Lou Ye occupa il primo posto incontrastato, fatto che lo fa apparire, soprattutto agli occhi di certa critica festivaliera occidentale, come una sorta di totem inviolabile.
Anche in questo Spring Fever il regista non fa nulla per allontanare tematiche e situazioni in forte contrasto soprattutto con il puritanesimo sessuale cinese trattando apertamente il tema della omosessualità che fino a pochi anni orsono era considerato reato grave e poi malattia mentale.

Quello che riesce meglio nel film è sicuramente l'ambientazione e l'atmosfera di abbandono nella quale si consumano due triangoli amorosi drammatici nei quali il terzo incomodo è sempre la figura femminile; due triangoli tra loro agganciati, dipanati lungo il corso delle stagioni che ne scandiscono il tempo, in cui un lato è comune e che imboccano ben presto due strade differenti: quella del dramma una , quella dell'abbandono e dell'oblio l'altra.
I personaggi di queste storie sono entità vaganti disperse nel tessuto urbano di una Nanchino vista con l'occhio clandestino della telecamera (le riprese sono tutte state girate di nascosto), strette tra l' anaffettività  e la compulsione ossessiva, vissute quasi sempre in una ombra insalubre che sembra quasi volerle proteggere.
I personaggi assumono l'aspetto di microcosmi, quasi delle monadi che si attraggono e si respingono vicendevolmente lungo un percorso in cui tutto sembra permeato di dolore e di grigio.
Oltre questo aspetto che dona sicuramente un certo fascino oscuro al film ( ma questo, lo sappiamo, è il modo di girare di Lou Ye), emergono però pecche abbastanza evidenti, soprattutto una lunghezza eccessiva della pellicola che spesso appare impantanata in situazioni prive di via d'uscita e una ricerca un po' troppo ostentata di una poeticità che si appoggia su un testo che in qualche modo funge da riferimento al film, scritto da Yu Dafu poeta che partecipò ai movimenti del maggio del 1914 di Piazza Tienanmen (coincidenza probabilmente voluta).
Indubbiamente non mancano i bei momenti segnati da un lirismo sofferto, ma l'impressione è che troppo spesso il regista perda il filo della narrazione poetica per deviare verso strade meno riuscite e che il film alla fine perda una parte del suo valore intinseco, quasi un'opera rimasta sospesa.

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