Ying Liang è uno tra i registi indipendenti della nuova generazione cinese che più si sono affermati nel panorama internazionale cinematografico , spesso adottati da Festival occidentali che diventano mecenati per i loro lavori.
Taking Father Home è la sua opera prima che ha riscosso successi e critiche entusiastiche nei quattro angoli del pianeta imponendo il regista come un personaggio di quelli da tenere sotto occhio, figlio di una cinematografia indipendente che sempre più spesso stenta a trovare i suoi spazi nell'immenso mercato cinese.
Girato con limitatissime risorse economiche e con attori non professionisti che , come si legge con malcelato orgoglio nei titoli di testa, non hanno ottenuto alcun compenso per il loro lavoro, Taking Father Home è la storia di una ragazzo diciassettenne della campagna del Sichuan che decide che è giunta l'ora di riportare a casa il padre che sei anni prima ha mollato la famiglia per andare a cercare fortuna in città non dando più notizie di sè, ove si eccettui qualche soldo inviato per il sostentamento.
Con solo una gerla sulla spalle carica di due papere , unica proprietà di famiglia utilizzabile per racimolare qualche soldo, inizia la sua avventura in città alla ricerca di un indirizzo che nessuno conosce: dapprima un bulletto dai modi spicci e poi un poliziotto di quartiere diventano i suoi spiriti guida nell'universo cittadino che appare ai suoi occhi come un pianeta lontano. Dal bullo otterrà alcune massime di vita quotidiana pregne di una filosofia da strada spicciola ( " non farti spaventare dai prepotenti") ; dal poliziotto, un uomo divorziato che ha visto l'unico figlio maschio andare via con la madre, riceverà quasi un tenero affetto paterno e un vano aiuto per ritrovare il padre, oltre al pressante invito a ritornare a casa.
Il binomio poliziotto-ragazzo è fin troppo ovvio: due solitudini in cerca ognuno di quello che l'altro rappresenta.
Nel finale drammatico il giovane, a modo suo, riuscirà a riportare il padre a casa e nel contempo scorgerà anche l'orizzonte di una nuova concezione della propria vita.
Diretto con rigore e scarna eleganza che richiama i canoni dei primi lavori dei registi della Sesta Generazione, votato quindi ad un neorealismo nudo e crudo, Taking Father Home è una riflessione sentita e profonda da parte di un giovane regista su quelle che ormai sono le manifestazioni più palesi della trasformazione che la Cina ha subito; a causa dello hiatus generazionale con i registi succitati, manca quella neppur troppo nascosta critica politica e sociale in favore di una descrizione del presente che appare ricca di contraddizioni e di problematiche: la disgregazione della famiglia , il pericolo della corsa alla ricchezza, i problemi ambientali, lo sbandamento delle nuove generazioni all'inseguimento dei più deteriori modelli occidentali, la trasformazione del tessuto urbano.
Dal punto di vista tecnico Ying si avvale però di tutti i canoni del neorealismo dei registi della Sesta Generazione: lunghi piani fissi, l'ambiente che domina in modo pressante coi suoi rumori, la descrizione accuratissima della realtà metropolitana di provincia, un distacco narrativo che rasenta la neutralità assoluta, il richiamo alla cronaca nazionale.
Per tutti questi motivi il film è lavoro valido che sa regalare momenti di autentica poesia calati in una realtà che offre ben poche sicurezze e nonostante la scelta narrativa che sfiora il documentario, sa emozionare e commuovere.
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