Per una curiosa coincidenza il 2013 è stato l'anno in cui tre fra i più conosciuti ed apprezzati registi coreani si sono cimentati per la prima volta col Cinema occidentale: se Park Chan-wook con Stoker e Bong Joon-ho con Snowpiercer hanno tutto sommato scelto strade abbastanza consone al loro stile Kim Ji-woon si è tuffato invece a corpo morto nel più classico dei lavori hollywoodiani, a cominciare dalla scelta di offrire un ruolo ad Arnold Schwarzenegger reduce da otto anni di impigrimento politico nel prestigioso ruolo di governatore della California.
The Last Stand è infatti film che più americano non si può, nelle tematiche , nella costruzione, nella filosofia un po' becera da frontiera, nei dialoghi e nelle ambientazioni; il buon Kim però non ha potuto fare a meno di lasciare comunque qualche traccia personale, come una inconfondibile firma in calce al lavoro.
Siamo ai confini col Messico, in una città poco più grande di un crocicchio di strada, qui ha scelto di vivere in una sorta di pensione anticipata un ex tostissimo agente della squadra narcotici dal passato glorioso e tragico, indossando la stella di sceriffo che serve al massimo a sedere qualche lite sporadica tra cittadini che si conoscono tutti.
La pace e l'ordinarietà del piccolo centro viene sconvolta dalla notizia che un pericolosissimo narcotrafficante, appena fuggito in maniera spettacolare dalle grinfie dell'FBI, appoggiato dal suo esercito personale, ha scelto proprio il canyon che costeggia la città ed il confine per fare ritorno in Messico.
Il nostro veterano con l'aiuto del suo piccolo manipolo di collaboratori si metterà sulla strada del narcotrafficante messicano, visto che tutti i tentativi dell'FBI di riacciuffarlo sono risultati vani.
Il film nel suo complesso è la solita americanata intrisa di nazionalismo e di patriottismo anacronistico miscelata con una grande dose di azione e spettacolarità secondo i dettami del cinema di Hollywood, ma il tocco un po' disincantato che Kim regala, tipico di chi osserva certe cose americane con occhio quasi divertito, regala qualche brillante squarcio.
Anzitutto l'ironia che pervade sempre i film del coreano, anche nelle sue manifestazioni più macabre, alcuni personaggi border-line quando non veri e propri freaks, certe battute che sembrano molto americane ma che in effetti nascondono ironia e divertimento insolente, un perenne richiamo al western quasi come un omaggio nello stesso modo in cui fece in The good, the bad , the weird e per finire un ruolo costruito su Schwarzy che è molto autocitazionista e nostalgico nello stesso tempo, in una strana forma di metamorfosi dell'attore sempre più simile all'altro grande vecchio del cinema polveroso americano Clint Eastwood.
Insomma, a differenza dei suoi illustri connazionali che nel medesimo anno hanno toccato con mano il barnum occidentale cinematografico rimanendo tutto sommato fedeli a se stessi e derogando solo su pochi aspetti, Kim si lancia in un processo diametralmente opposto: farsi fagocitare da Hollywood lasciando però delle tracce indelebili del suo passaggio.
Il film comunque non annoia, diverte in alcuni momenti ( esilarante il personaggio del collezionista di armi che apre un museo nel mezzo del deserto e quello del narcotrafficante, una specie di bambino viziato che pensa alle macchine da corsa e pensa di comprare tutto coi soldi), regala bei momenti di azione catastrofista e sottolinea il consueto contrasto tra chi nella polvere combatte il crimine e chi, maldestramente, l'FBI, sa solo combinare guai con i loro distintivi sempre in bella vista.
Finta la parentesi però c'è da auspicare un veloce ritorno di Kim a tematiche ed ambientazioni più consone al suo grande talento.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.