Giudizio: 9/10
L'opera prima di quello che sarebbe diventato presto uno degli esponenti di punta della Quinta Generazione di cineasti cinesi è uno di quei film che attira su di sè l'aura del lavoro storico: per quanto può valere, le classifiche stilate da varie istituzioni o riviste specializzate pongonoYellow Earth immancabilmente nei primi dieci posti tra i film più belli di tutto il panorama cinematografico cinese d'ogni tempo.
A 32 anni il giovane Chen Kaige, da due anni diplomato all'Accademia di Pechino con altri registi che diedero inizio alla stagione cinematografica della Quinta Generazione, dirige questo straordinario lavoro la cui importanza e valore vanno oltre al fatto di essere considerato una sorta di manifesto della corrente cinematografica.
Di sicuro da quei primi anni ottanta in avanti, il cinema cinese divenne un'altra cosa rispetto a quello che dalla Liberazione in poi era stato: non più solo propaganda e cinema collettivista, bensì racconto di storie cariche di umanità e di dolore, di speranze e di aspirazioni.
Siamo nel 1939 e la Cina del nord è in piena occupazione da parte del Giappone; le due anime del paese che si coagulano intorno ai comunisti e ai nazionalisti uniscono le forze, fino ad allora, e poi nuovamente in seguito, in violento contrasto, nel tentativo di combattere gli invasori.
Nello Shaanxi e nelle zone limitrofe i due eserciti cinesi si spartiscono il territorio: il nord in mano ai nazionalisti, il sud ai comunisti; un soldato dell'Armata Popolare è inviato in una curiosa e singolare missione: raccogliere canzoni popolari del nord per essere adottate dall'Esercito e rappresentare l'anima del popolo cinese.
Il soldato Gu giunge in uno sperduto villaggio tra colline brulle che sembrano dune in cui si celebra un matrimonio e prende alloggio presso la casa di un uomo che vive con la figlia quattordicenne ed il figlio affetto da mutismo.
Nel breve lasso di tempo che trascorrerà in quella terra gialla dalla quale è impresa titanica strappare qualche frutto, oltre ai canti popolari che raccontano storie di dolore e di speranza si rende conto di quanto quella zona sia arretrata e povera rispetto alle regioni più meridionali; ma soprattutto verrà colpito dai due figli del vecchio padrone di casa: personaggi carichi di una umanità triste e quasi rassegnati ai capricci del Fato.
Gu sarà per loro un faro nella notte, la fiammella di speranza che si accende e che lascia vedere lontanissima la possibilità di poter opporsi al fato che permea le superstizioni dei contadini.
Il finale eroico ed ambiguo può apparire intriso di propaganda, ma a leggere nelle righe di Yellow Earth, e non solo nel finale, Chen Kaige sembra voler rileggere quella che fu la propaganda comunista sotto l'occhio umanistico che fa del film il più importante esempio di lavoro cinese che si rivolge all'individuo come centro del mondo e non più all'ideologia.
Semmai Yellow Earth offre una lettura quasi post comunista della propaganda e dell'ideologia proprio grazie al finale ambiguo e all'approccio apparentemente di parte che sceglie.
Fotografato in maniera molto realistica niente meno che da Zhang Yimou, altro regista uscito dall'Accademia di Pechino in quel 1982, Yellow Earth sceglie la strada neorealista e descrittiva, con frequenti derive poetiche e soprattutto regala immagini zuppe di emozioni che lasciano il segno ben più delle parole e delle canzoni popolari di cui è frequentemente costellato.
La strada aperta da Chen Kaige con Yellow Earth ha portato con lo stesso autore , Zhang Yimou e Tian Zhuangzhuang prima e con i registi della Sesta Generazione dopo il cinema cinese fuori dal guado, dandogli una identità e liberandolo dal peso del legame decennale col cinema di propaganda sovietico: dai primi anni ottanta inizierà una nuova era che rilascia la sua onda lunga fino ai giorni nostri.
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