Giudizio: 7/10
Si può fare un film autobiografico che esca dal semplice racconto personale e che racconti tematiche che in qualche modo possano coinvolgere lo spettatore? E' questo uno dei temi più interessanti e dibattuti nel mondo cinematografico al quale hanno dato il loro contributo svariati registi e scrittori; la giovane regista cinese di origini mongole Degena Yun con A Simple Goodbye sceglie per il suo esordio un racconto a chiarissima impronta autobiografica e personale che al Festival di Torino del 2015 ha riscosso il favore della giuria con l'assegnazione del premio per la migliore sceneggiatura.
La regista , nonchè sceneggiatrice, riveste anche il ruolo di attrice protagonista, sottolinenando ancora di più il tratto personale della storia, nella quale interpreta una giovane donna che torna a Pechino dall'Inghilterra dove si era trasferita per studio; il motivo ufficiale del ritorno è la grave malattia che ha colpito il padre, anche se probabilmente la vera causa risiede nel tormentato e tutt'altro che appagante rapporto amoroso che ha in piedi.
Padre e madre di fatto sono separati, sebbene la donna si impegni molto per accudire il marito che deve sottoporsi a frequenti sedute di chemioterapia riuscendo a carpire il tempo alla sua frenetica attività di imprenditrice; l'uomo da parte sua vive con la sorella e la madre e non è certo intenzionato a soccombere al cancro in maniera passiva: non rinuncia alle partite a majong con gli amici accompagnate da bevute e fumate, mal sopporta le premure alimentari che la moglie gli riserva.
Verso la figlia nutre un sentimento di delusione e di distacco, ma le giornate trascorse insieme sembrano ridurre drasticamente la distanza che divide i due; la ragazza da parte sua continua a vivere nel limbo di una vita disordinata nella quale c'è posto solo per le liti col fidanzato, per le bevute e per le serate deprimenti.
Quando la storia è già bella avviata scopriamo che il padre è stato un regista mongolo, una celebrità degli anni passati che ancora oggi, con un piccolo manipolo di amici ricorda con nostalgia i tempi di The Sorrows of Broke, grande successo diretto appunto dal padre della Yun, il regista Saifu morto una decina di anni fa, di cui vediamo sullo schermo alcune immagini riversate da un vecchio proiettore.
Da questo punto in poi il film si ammanta del più classico autobiografismo tra citazioni cinematografiche, omaggi al padre-regista, riflessioni sul cinema eroico pre-digitale, nostalgici rimandi a cavalli e steppe mongole.
Questa svolta narrativa sembra assurgere a deus ex machina del racconto: da lì in poi le situazioni sembrano risolversi e la vita della donna magicamente rimette a posto i suoi pezzi, le relazioni famigliari sembrano trovare il giusto alveo, persino l'ambiente asseconda una sorta di pace interiore che sprigiona il film.
Torniamo quindi alla domanda iniziale: è riuscita Degena Yun a liberarsi dal semplice tratto autobiografico per poter rivolgersi allo spettatore in maniera più completa?
In parte sì, perchè comunque A Simple Goodbye è lavoro dal quale emerge un forte sentimento sincero capace di coinvolgere, nonostante l'aspetto personale risulti carente soprattutto sulla costruzione del proprio personaggio: se il padre e la madre riescono ad essere convincenti, ben costruiti, tratteggiati con affetto ma anche con severità soprattutto nei loro tratti spigolosi, la figura della protagonista risulta quasi scialba, priva di forza e di profondità.
Le tematiche delle famiglie separate, della frenesia tipicamente pechinese, di un certo malessere esistenziale, delle superstizioni che si contrappongono alla scienza fanno da sfondo ad una storia che è fondamentalmente un omaggio personale di una figlia al padre ( e di una giovane regista ad un vecchio regista) dal quale sembra affiorare una componente catartica.
Come lavoro d'esordio A Simple Goodbye ha i suoi pregi, uniti a diversi difetti , ma soprattutto ci consegna una regista che ha comunque saputo mostrare buone qualità e che vale la pena tenere sotto occhio.
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