Giudizio: 7.5/10
Padre e figlio, Ming Chun e Leilei, vagano per il bosco di alberi rinsecchiti dal gelo invernale alla ricerca di legna da ardere, il ragazzo corre all’inseguimento di una lepre per poi ricomparire dopo qualche minuto; lo spirito della madre defunta da qualche anno si è impadronito di lui e si presenta al marito dicendo che la sua missione è quella di trapiantare in un altro posto un vecchio albero che sta di fronte alla loro vecchia casa in rovina .
Attraverso il corpo del figlio la donna racconta all’uomo l’incontro avuto con i genitori di lui e lo mette al corrente che sono reincarnati in un cane e in un uccello.
Con l’aiuto del corpo del figlio Ming Chun cerca di esaudire il desiderio dello spirito della moglie, dopo aver chiesto invano aiuto ai suoi compaesani, abitanti di un villaggio fantasma trasferitisi nelle nuove costruzioni cittadine.
Compiuta la missione e dopo aver portato il marito di fronte ai suoi genitori reincarnati lo spirito abbandona il corpo del ragazzo e quella terra desolata dove il senso di morte è tangibile in ogni angolo.
Per essere una opera prima , Life After Life è film coraggioso, ambizioso e ovviamente tutt’altro che perfetto: si respirano da subito quelle atmosfere da nordovest della Cina , quelle molto simili del vicino Shanxi di Jia Zhangke che è non solo il modello formale cui il giovane Zhang Hanyi si ispira, ma anche il nume tutelare in veste di produttore.
Sin dall’inizio il film si apre con una riflessione sulla morte, attraverso la metafora sugli alberi secchi: morti stecchiti secondo il vecchio zio di Ming Chun, solo rattrappiti dal gelo per quest’ultimo, salvo poi virare verso una di quelle originali e atipiche ghost story nelle quali il senso della morte, soprattutto interiore, aleggia pesantemente.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it
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