Giudizio: 7/10
Costruito intorno al simulacro monolitico di granito che richiama alla mente quello di 2001 Odissea nello spazio , fondendo atmosfere che spaziano da Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo fino ad Interstellar con quelle ad impronta spirituale malickiane, Arrival del regista canadese Denis Villeneuve ambisce a porsi come sintesi di quel cinema che attraverso la fantascienza esplora lo sterminato tema della comunicazione e della reciproca comprensione.
I monoliti neri , giganteschi e fluttuanti a pochi metri da terra, sono dodici vascelli spaziali giunti sul nostro pianeta da non si sa dove e dislocati ai quattro angoli dell'orbe terracqueo: chi sono, cosa vogliono e soprattutto come comunicare con loro è il dilemma che attanaglia i governi dei paesi dove gli alieni hanno deciso di fare tappa. In America il monolite nero si è stanziato nelle praterie del Montana e per tentare di intraprendere un canale di comunicazione il governo americano decide di ingaggiare la dottoressa Banks esperta in lingue e comunicazione e il dottor Donnelly matematico ed astrofisico.
Il contatto con gli alieni, dei giganteschi eptapodi che sembrano dei calamaroni, avviene nella navicella attraverso un vetro che separa gli umani dalle creature extraterrestri: il linguaggio di quest'ultimi è qualcosa di totalmente diverso dal nostro, presenta una circolarità di tratti , quasi un disegno al cui interno risiedono le informazioni.
Nonostante gli sforzi la comprensione non è facile, anzi, sono più gli equivoci soprattutto quando gli alieni utilizzano termini che sembrano voler far riferimento a qualcosa che può portare a gravi problemi nei rapporti tra i paesi della terra.
I due scienziati saranno il baluardo dello sforzo comunicativo quando la tensione nel pianeta cresce e la sorte dei vascelli alieni sembra segnata.
Procedere oltre nel racconto del film sarebbe delittuoso , soprattutto perchè nell'ultima parte si inizia ad intuire qualcosa che troverà spiegazione completa nel finale e che darà la possibilità di interpretare nella giusta maniera gli eventi: basti sapere che la chiave della svolta narrativa sta nella struttura del linguaggio alieno, circolare e non lineare così come circolare è il concetto di tempo.
Indubbiamente col finale Villeneuve riesce a dare quel colpo di coda ad un film che troppo spesso oscilla tra spiritualismo e filosofia, ribadendo il concetto dell'importanza della comunicazione, non solo con gli alieni (leggi i "diversi") ma anche tra noi umani e persino con noi stessi.
Il regista sembra abbracciare quasi a pieno la teoria di Sapir-Whorf sulla relatività linguistica secondo la quale un essere è influenzato nei suoi processi cognitivi dal tipo di linguaggio che utilizza, che svariate volte nella pellicola è citata, dando con ciò una spiegazione finalistica alla lingua degli alieni, capace di offrire all'uomo una capacità di comunicazione circolare, proprio come i caratteri del loro idioma.
Su questa base a metà strada tra lo scientifico ed il filosofico, Villeneuve inserisce, soprattutto relativamente alla forma stilistica, dei momenti che sembrano usciti perfettamente da un film di Malick: il risultato che si ottiene è che Arrival è tutt'altro che un film di fantascienza classico; poca o nulla azione, suspance praticamente assente cui fa da contraltare invece una ricercata atmosfera asettica e rarefatta cui non arrecano danni le inevitabili (per fortuna solo un paio) americanate cinematografiche.
Volendo utilizzare la ragione in maniera un po' invasiva va detto che alcuni snodi narrativi sono piuttosto forzati, ma nel contesto di atmosfere che spingono all'interiorizzazione sono dettagli non troppo importanti.
Nonostante il già accennato tentativo di mescolare qualcosa di già visto, Arrival , con un finale che chiarisce senza cadere nella spiegazione sterile e noiosa, è lavoro che ha senza dubbio il suo fascino e sembra voler appellarsi all'importanza del linguaggio nella rappresentazione della realtà e della creazione di un binario comunicativo che parte dai macrosistemi per finire all'interno di noi stessi.
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