Giudizio: 7.5/10
Il nichilistico racconto di Mariko Tetsuya sulla deriva giovanile della provincia giapponese, opera proveniente dall’ultimo Festival di Locarno, è uno tra i più interessanti lavori giapponesi di questi ultimi mesi, soprattutto per la scelta della prospettiva utilizzata per condurre avanti la storia dei due fratelli Taira e Shota.
I due ragazzi vivono da soli, padre morto giovane e madre sparita, in una piccola località di mare della provincia giapponese: Taira , il maggiore, è un piantagrane cronico , mentre Shota frequenta ancora la scuola; ad occuparsi dei due un uomo che li ha accolti dopo che erano rimasti soli e che ha offerto loro ospitalità.
Dopo l’ennesima rissa in cui viene coinvolto, Taira decide di lasciare il villaggio e di andare a cercare rogna nella vicina città di Matsuyama dove inizia a vivere come un homeless tra una rissa e un’altra scatenate spesso senza alcun motivo anche con gangster di provincia da quattro soldi.
Il suo comportamento asociale e violento trova un ammiratore e seguace in Yuya, un bulletto pavido e chiacchierone che rimane folgorato dalla violenza e dalla rabbia che Taira sprigiona.
I due iniziano quindi un pericoloso e drammatico viaggio nella notte che si trasforma in un crescendo di violenza e di degrado, proprio mentre il fratello minore Shota raggiunge la città alla ricerca della fratello.
L’assurda prima mezz’ora del film costellata dalle scazzottate in strada con volti sanguinanti e tumefatti, nasi rotti e botte da orbi causate dalla furia del protagonista servono a sottolineare il vuoto esistenziale nel quale si muove Taira; quando poi si forma la coppia di violenti in cerca di eccitazione in una escalation che non sembra avere mai fine, Destruction Babies diventa un lucido e nichilistico ritratto di una generazione che sprofonda sempre più nella sua vacua disperazione.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it
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