mercoledì 16 gennaio 2019

The House That Jack Built ( Lars Von Trier , 2018 )




The House That Jack Built (2018) on IMDb
Giudizio: 8.5/10


Il ritorno di Lars Von Trier a Cannes dopo sette anni dal grande scandalo che accompagnò alcune sue dichiarazioni su Hitler e sul nazismo in occasione della presentazione di Melancholia che  costarono l’espulsione dalla rassegna con gran codazzo di polemiche abilmente alimentate dagli ambienti del Festival francese, indubbiamente oltre alla curiosità che il regista danese porta sempre con sé faceva sospettare  qualche messa in scena maldestramente costruita ( dagli organizzatori e dal regista) che servisse a sottolineare  l’imperituro legame che unisce Lars Von Trier alla rassegna della Croisette: una pagliacciata insomma di quelle cui il nostro simpatico regista si è reso più e più volte protagonista.
Invece The House that Jack Built non solo è un bel film, decisamente tra i migliori in assoluto di Von Trier, ma si erge, più di quanto abbiano fatto altri suoi lavori, a summa filosofica e artistica, una riflessione, molto a modo suo ovviamente, sul rapporto tra l’uomo e l’opera d’arte calato in una realtà nella quale dominano gli aspetti più negativi che emergono dalla natura umana.


Sebbene il film  ondeggi di frequente tra un sarcasmo nerissimo e situazioni ironiche, le tematiche che emergono risultano maledettamente serie e profonde, rendendo l’opera nel suo insieme anche piuttosto complessa per la mole di argomenti affrontati, di sottili citazioni e di riferimenti.
Il racconto si svolge intorno a Jack, in un lasso tempo di 12 anni, nei quali la sua voracità da serial killer si è consumata, ed è raccontata in prima persona dallo stesso Jack insieme ad un misterioso personaggio, Verge (occhio al nome…) di cui solo nel finale capiremo qualcosa di più.
La narrazione è strutturata a capitoli, cinque omicidi  ( o incidenti come sarcasticamente vengono definiti) che in qualche maniera hanno segnato le tappe più importanti della carriera da serial killer compulsivo-ossessivo del protagonista.
Attraverso il racconto in prima persona Jack diventa il catalizzatore di tutto il film, obbligandoci ad assumere una posizione di vicinanza, quasi di sovrapposizione con lui, manovra con la quale il regista cerca di creare una simbiosi simbolica con lo spettatore attraverso il serial killer sofisticato , come si autodefinisce, che nei suoi omicidi è alla continua ricerca della perfezione formale, inseguendo una opera d’arte perfetta: i delitti non solo saranno sempre più complessi e di conseguenza pericolosi e difficili , ma diventeranno il pretesto con il quel il killer accumulerà cadaveri in maniera grottesca all’interno di una cella frigorifera.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it

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