Un kolossal troppo costruito
E' stato uno dei film più attesi e di maggior successo di questo primo scorcio d'anno in Cina, questo lavoro dal forte impianto da kolossal di Benny Chan che si cimenta, abbandonati per un attimo i duri e crudi polizieschi HKesi, in un genere iperclassico in cui storia ed arti marziali si mescolano e si fondono producendo un lavoro che sicuramente merita la visione, ma che sembra concedere troppo alla spettacolarizzazione.
Intanto va sgombrato subito il campo dagli equivoci indotti anche da una pubblicità al limite dell'ingannevole: questo film non è il sequel di nulla , nè tanto meno è un prequel, nè ancor meno un remake; è un lavoro che racconta di un particolare periodo storico della Cina (fine anni 20 con l'Impero caduto e i signori della guerra a contendersi fette di territori da governare come satrapie, più o meno in combutta con gli stranieri occidentali attratti dalla possibilità di condurre lucrosi affari), e si ambienta per buona parte nel celebre monastero Shaolin, motivo che probabilmente ha fatto sorgere equivoci ed interpetazioni errate.
Il generale Hou è uno dei più potenti signori della guerra, ha ormai conquistato la città di Deng Feng ed è il momento di spartire col comanante Song, suo vecchio commilitone, le conquiste ottenute. Sospettando trame sotterranee Hou decide di sbarazzarsi di Song durante una cena, ma tra i due si interpone Cao, fidato collaboratore di Hou che decide di sfruttare la loro rivalità per affermarsi e manda dei sicari ad uccidere entrambi. Nell'agguato muore la figlioletta di Hou che distrutto da dolore chiederà asilo presso il monastero Shaolin che aveva già profanato spavaldamente quando era alla guida del suo esercito.
La conversione di Hou diventa una trasformazione spirituale , e il monastero il centro della resistenza contro Cao e i suo fiancheggiatori occidentali interessati ai loro affari.
Il generale Hou è uno dei più potenti signori della guerra, ha ormai conquistato la città di Deng Feng ed è il momento di spartire col comanante Song, suo vecchio commilitone, le conquiste ottenute. Sospettando trame sotterranee Hou decide di sbarazzarsi di Song durante una cena, ma tra i due si interpone Cao, fidato collaboratore di Hou che decide di sfruttare la loro rivalità per affermarsi e manda dei sicari ad uccidere entrambi. Nell'agguato muore la figlioletta di Hou che distrutto da dolore chiederà asilo presso il monastero Shaolin che aveva già profanato spavaldamente quando era alla guida del suo esercito.
La conversione di Hou diventa una trasformazione spirituale , e il monastero il centro della resistenza contro Cao e i suo fiancheggiatori occidentali interessati ai loro affari.
Un finale altamente spettacolare vedrà la sternua difesa dei monaci del loro monastero e delle popolazioni vessate dalle truppe di Cao e l'immancabile epiologo con il faccia a faccia tra Hou e Cao tra le cannonate e la distruzione.
Il percorso spirituale di Hou vuole essere il perno su cui ruota buona parte della vicenda, impregnata però di quel consueto richiamo alle tradizioni millenarie veicolo di una nazionalismo che mai manca in lavori del genere; le scene di combattimento sono ben costruite anche se forse troppo ridondanti di effetti speciali che ne snaturano un po' il senso; soprattutto nel convulso e spettacolare finale il film si piega al puro spettacolo da kolossal che se da un lato mostra aspetti tecnici pregevoli, dall'altro impoverisce le tematiche riconducibili al buddhismo e alle arti marziali.
Il percorso spirituale di Hou vuole essere il perno su cui ruota buona parte della vicenda, impregnata però di quel consueto richiamo alle tradizioni millenarie veicolo di una nazionalismo che mai manca in lavori del genere; le scene di combattimento sono ben costruite anche se forse troppo ridondanti di effetti speciali che ne snaturano un po' il senso; soprattutto nel convulso e spettacolare finale il film si piega al puro spettacolo da kolossal che se da un lato mostra aspetti tecnici pregevoli, dall'altro impoverisce le tematiche riconducibili al buddhismo e alle arti marziali.
Insomma sembra tutto un po' troppo costruito, anche se non mancano momenti di grande cinema come la scena dell'agguato al ristorante o la strepitosa performance di un grande Jackie Chan, monaco cuoco, che tratti i suoi avversari come fossero cibi da preparare e da cucinare.
Anche la scena madre finale, tra cannonate, travi che cadono , statue di Buddha trasformate in catafalchi e prese di coscienza tardive seppure ben confezionata, appare un po' forzata.
Come aspetto indubbiamente positivo non si può non ricordare la parata di star del cinema HKese e cinese che regala qualche punto in più al lavoro: un grande Andy Lau tanto curioso quanto credibile con la sua testa pelata da monaco nel ruolo di Hou, Nicholas Tse, nella parte di Cao, bravissimo nel trasformarsi da fedele collaboratore ad avido tiranno, Wu Jing, nel ruolo di maestro di arti marziali del monastero, grande interprete del kung fu, uno straordinario Jackie Chan nei panni del monaco cuoco che offre ancora una volta una interpretazione da grandissimo attore; un po' troppo defilata invece Fan Bingbing nel ruolo della moglie di Hou che per esigenze di copione , di fatto, interpreta un ruolo marginale.
Anche la scena madre finale, tra cannonate, travi che cadono , statue di Buddha trasformate in catafalchi e prese di coscienza tardive seppure ben confezionata, appare un po' forzata.
Come aspetto indubbiamente positivo non si può non ricordare la parata di star del cinema HKese e cinese che regala qualche punto in più al lavoro: un grande Andy Lau tanto curioso quanto credibile con la sua testa pelata da monaco nel ruolo di Hou, Nicholas Tse, nella parte di Cao, bravissimo nel trasformarsi da fedele collaboratore ad avido tiranno, Wu Jing, nel ruolo di maestro di arti marziali del monastero, grande interprete del kung fu, uno straordinario Jackie Chan nei panni del monaco cuoco che offre ancora una volta una interpretazione da grandissimo attore; un po' troppo defilata invece Fan Bingbing nel ruolo della moglie di Hou che per esigenze di copione , di fatto, interpreta un ruolo marginale.
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