La deriva francese di Hong
Con questo lavoro il regista coreano più europeo raggiunge probabilmente il punto di massimo avvicinamento a quella cinematografia francese derivata dalla Novelle Vague che ha nel grande Eric Rohmer il suo punto di riferimento.
E' talmente netta la sensazione che sembra quasi di assistere ad un fenomeno di assimilazione, quando non proprio di fagocitosi, che, occorre dirlo, non giova, in questo caso specifico , al lavoro di Hong.
E' tanta la sua frenesia di avvicinarsi nello stile e nella tecnica a quel tipo di cinema che ambienta questo suo lavoro a Parigi, come a mettere un marchio indelebile sulla pellicola.
Il risultato non è di quelli che entusiasmano, tutt'altro,proprio perchè viene inesorabilmente a galla questa ricerca stilistica abbastanza fine a se stessa che fa passare in secondo piano quelli che invece sono sempre stati i punti di forza del cinema di Hong, che qui troppo spesso si riduce a un ripetere all'infinito la frase "ti amo".
E' talmente netta la sensazione che sembra quasi di assistere ad un fenomeno di assimilazione, quando non proprio di fagocitosi, che, occorre dirlo, non giova, in questo caso specifico , al lavoro di Hong.
E' tanta la sua frenesia di avvicinarsi nello stile e nella tecnica a quel tipo di cinema che ambienta questo suo lavoro a Parigi, come a mettere un marchio indelebile sulla pellicola.
Il risultato non è di quelli che entusiasmano, tutt'altro,proprio perchè viene inesorabilmente a galla questa ricerca stilistica abbastanza fine a se stessa che fa passare in secondo piano quelli che invece sono sempre stati i punti di forza del cinema di Hong, che qui troppo spesso si riduce a un ripetere all'infinito la frase "ti amo".
Anche il consueto sguardo beffardo gettato sui protagonisti, stavolta un pittore in fuga verso Parigi, circondato da donne lontane (la moglie) e altre vicine (due studentesse a appassionate di arte) che lo stringono in una morsa dalla quale per primo lui non vuole sottrarsi, è molto poco tagliente, privo di quel sarcastico raccontare debolezze, meschinità, paure, difficoltà a rapportarsi che è proprio dei personaggi da lui raccontati.
Sembra insomma di assistere ad una trasformazione cinematografica che passa anzitutto nella trasfigurazione dei personaggi , prima che delle storie, come sempre molto esili, che appaiono meno "nudi" di fronte a chi guarda, privati di quella fragilità emotiva che era al tempo stesso il loro limite e la loro grandezza.
Anche il finale, giocato tra sogno e realtà, sembra aggiungere poco, semmai toglie qualcosa, alla consueta verve del regista, che per altro non manca di mostrare ancora una volta le sue indubbie e notevoli doti tecniche, raccontando una Parigi molto poco convenzionale, in cui c'è più spazio per i suoni che per i colori.
Anche nella tecnica di ripresa, oltre che per l'incedere del racconto a capitoletti scanditi dal tempo che passa, Hong si ispira fortemente a Rohmer con frequenti piani fissi dai quali entrano ed escono gli attori.
Indubbiamente Hong ha la capacità di sapere scavare nei suoi personaggi, portando alla luce soprattutto la loro infinita fragilità, ma è altrettanto vero che ci è riuscito decisamente meglio nella gran parte dei suoi altri lavori.
Film da veder comunque, nonostante la durata eccessiva (quasi due ore e mezza) e una seconda parte che arranca in molti punti, ma tenendo ben presente che l' Hong che conosciamo è capace di ben altre cose.
Anche il finale, giocato tra sogno e realtà, sembra aggiungere poco, semmai toglie qualcosa, alla consueta verve del regista, che per altro non manca di mostrare ancora una volta le sue indubbie e notevoli doti tecniche, raccontando una Parigi molto poco convenzionale, in cui c'è più spazio per i suoni che per i colori.
Anche nella tecnica di ripresa, oltre che per l'incedere del racconto a capitoletti scanditi dal tempo che passa, Hong si ispira fortemente a Rohmer con frequenti piani fissi dai quali entrano ed escono gli attori.
Indubbiamente Hong ha la capacità di sapere scavare nei suoi personaggi, portando alla luce soprattutto la loro infinita fragilità, ma è altrettanto vero che ci è riuscito decisamente meglio nella gran parte dei suoi altri lavori.
Film da veder comunque, nonostante la durata eccessiva (quasi due ore e mezza) e una seconda parte che arranca in molti punti, ma tenendo ben presente che l' Hong che conosciamo è capace di ben altre cose.
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