martedì 15 febbraio 2011

Invisible killer ( Wang Jing , 2009 )

Giudizio: 7/10
Thriller tra morale e internet


Il regista cinese Wang Jing dichiara apertamente di ispirarsi al cinema dei fratelli Coen nel dirigere Invisible killer; il tentativo in effetti si nota, anche se molto sfumato, quello che però non coincide assolutamente è il risultato, e non solo a livello estetico e di riuscita, mancando quella verve dissacrante pessimistica propria dei registi americani.
Raccontando una storia di infedeltà che nasce e si nutre nell'ambiente internautico, Wang costruisce un thriller che vorrebbe nella sua estrinsecazione casuale spiegare la forza del destino, ma di fatto la vicenda presta maggiormente il fianco ad una riflessione sulla morale corrente, ai pericoli della rete , intesa come una sorta di gabbia trasparente all'interno della quale tutti sono in balia di tutti.
La polizia, quasi per caso, arresta un uomo sospetto, in possesso di documenti falsi, il quale asserisce di essere sottoposto ad una fantomatica caccia all'uomo da parte di un gruppo misto di blogger e di moralisti: Gao Fei in effetti un piccolo scheletro nell'armadio ce lo ha, e cioè la relazione extraconiugale con Lin Yan , donna conosciuta ad un raduno di giocatori on line di World of Warcraft, ma ancor peggio mostra , lui e la sua amante, una quasi irritante idiozia non tanto nel farsi le riprese video durante gli amplessi, quanto per il fatto che se le inviano via telefonino e che in chat , lasciate colpevolmente alla mercè di tutti, non nascondono il loro affaire.
Risultato: il marito di leri scopre tutto, si affida anche lui ad internet, grazie ad un blog, per sputtanare moglie e amante e trova sostegno in un blog di internauti preoccupati del buon nome della Nazione (evidentemente le berlusconiadi in Cina non ci sono) che decidono di dare la caccia ai due adulteri per sottoporli alla gogna pubblica.
Il tutto si complica con la morte di Lin Yan, ripescata in mare decapitata.
La polizia , quasi obtorto collo, dovrà quindi occuparsi di Gao Fei e ritracciare tutte le mosse per cercare di risolvere il caso.
Attraverso il racconto fatto a flashback dei vari protagonisti durante le indagini (scelta narrativa azzeccata, forse la cosa migliore del film) scopriamo quindi come sono andate le cose in ambiente provinciale egregiamente descritto; il problema di fondo  è che quello che vorrebbe essere un racconto dello scontro tra tecnologie moderne e tradizione, una riflessione sull'onnipotenza della rete , sulla morale comune un po' bigotta e su certi costumi di derivazione più occidentale, diventa di fatto una storia carica di moralismo poco credibile, che trova il suo trionfo nell'ineluttabilità della pena da subire per chi ha infranto le regole; come thriller ci siamo, quello che vorrebbe veicolare convince meno.
Non credo fossero questi gli intenti del regista, ma questo aspetto fa scemare  il giudizio sulla qualità del film che per il resto indubbiamente offre bei momenti, mantiene comunque in bilico la storia come si conviene ad un buon thriller e si avvale della ottima prova alla recitazione di Feng Bo nei panni della poliziotta che conduce le indagini.

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