La forza dell'immagine
Vinse il Premio per la Regia a Cannes, questo lavoro di Michael Haneke e mai premio fu più cucito addosso alla perfezione: infatti il pregio più grande di questa pellicola risiede proprio nella regia impeccabile, al punto che , ben lungi da considerare ciò mero formalismo, Haneke costruisce una storia mediante la quale, grazie appunto alla sua grandiosa regia, gli aspetti narrativi, molto spesso lasciano il passo alla struttura e all'impianto della narrazione.
Haneke riesce sempre, e qui sembra quasi una prova generale de Il nastro bianco, a tenere il film tra le mani , senza quasi che lo spettatore se ne accorga, grazie alla sua immensa capacità di manipolare le immagini.
Immagini che sono le vere protagoniste di questo film, a partire dal lungo e apparentemente immobile inizio in cui però c'è tutta la traccia narrativa della storia.
Una telecamera puntata su un portone di una tranquilla via parigina, auto che passano, pedoni con il passo veloce, un ciclista, un uomo e una donna che escono dal portone; tutto sembra casuale, ed invece è il grimaldello per entrare subito nella vicenda.
Le immagini che vediamo all'inizio sono quelle di una videocassetta che due coniugi benestanti della Parigi bene osservano in televisione con preoccupazione ed incredulità: qualcuno sembra spiarli e poco dopo si farà vivo nuovamente recapitando altre cassette accompagnate da disegni infantili macabri; a quel punto George capisce ed inizia la discesa nel lato oscuro della sua memoria; un episodio dell'infanzia, che il misterioso latore dei filmati sembra conoscere benissimo, sembra riaffacciarsi portando con sè rancori e colpe.
Ma non sarà solo la memoria e la coscienza di George ad essere stimolata; la moglie , Ann, mal digerisce la reticenza del marito e ben presto i rapporti famigliari, già molto formali e apparentemente freddi, disintegrati dall'arrivismo sul lavoro, si sgretoleranno inesorabilmente e con lo loro la fiducia reciproca.
Sconvolgendo i canoni classici del thriller, Haneke non dirada le nebbie, non racconta un finale che spieghi ; semplicemente lascia aperto un cratere nella vita della famiglia, in cui responsabilità personale e verità sembrano concetti molto soggettivi.
Lo stile di Haneke è inconfondibile, riconoscibile sin dall'inizio: lunghi piano sequenza, personaggi che vi entrano e vi escono, frammenti di vita silenziosi , assenza totale di tema musicale, semmai la colonna sonora sono i rumori di contorno.
La scelta della scena iniziale statica, apparentemente insignificante che diventa però lo strumento per sconvolgere una quiete famigliare è di per sè assolutamente geniale ed intorno ad essa il regista imbastisce la sua dissertazione gelida e tagliente sulla morale, sulla colpa (anche quella politica ben più ampia di quella di George), su tutto ciò che la famiglia conserva sotterrato e che una semplice immagine può riportare a galla con deflagrante violenza.
I due protagonisti Juliette Binoche e un Daniel Auteuil sempre più a suo agio con personaggi a loro modo estraniati, si rendono protagonisti di una interpretazione straordinaria in cui domina la drammatica glacialità, così come assolutamente preziosa è la piccola parte di Annie Girardot nel ruolo dell'anziana madre di George che si rende protagonista di uno dei momenti più belli , e a modo suo poetici, del film.
film notevole e beffardo
RispondiEliminahaneke è un gran bastardo, come lars von trier
un bastardo geniale e con tanta gloria :)
l'Haneke che mi è piaciuto di più, dentro c'è mistero, svelato alla fine, grandi attori, tensione, sostanza e grande mestiere, nel prenderti nella sua ragnatela, senza mollarti un attimo.
RispondiElimina@Marco: l'accostamento che fai mi trova d'accordo, ma non in assoluto; Haneke è sempre rigorosissimo nella sua regia, cosa che invece non fa Von Trier cui piace stupire con trovate varie; quello che emerge dai film dell'austriaco è una fredda e tagliente analisi del sepolto, mentre il buon Lars sotto questo aspetto è senz'altro più poliedrico nelle sue tematiche.
RispondiElimina@Ismaele:a me la cosa che ha colpito di più è proprio la strutture del film e la scelta narrativa di lasciare molte cose inespresse.