lunedì 14 febbraio 2011

Night train ( Diao Yinan , 2007 )

Giudizio: 8.5/10
Alla deriva tra ciminiere e nebbia


E' un film gelido, che trasuda alienazione e abbandono, mancanza di speranza seppur minima e che l'ambiguo finale, aperto sì a tutte le interpretazioni, non risolleva minimamente, anzi lo fa sprofondare ancora più nel baratro della desolazione interiore.
Il lavoro di Diao Yinan, premiato a Cannes in una delle rassegne collaterali, lancia lo sguardo su l'altra faccia della Cina moderna, laddove grattacieli e cristalli, luci e modernità non sembrano essere ancora giunti.
Inoltre, seppure in forme aasolutamente soft prive di vigorosa denuncia e molto obliquamente, il regista affronta la tematica della pena di morte, senza dare spiegazioni sociologiche ne tanto meno politiche, ma semplicemente raccontando come si possa convivere con essa.

La storia, dai tratti intimistici e sussurrati, narra di Wu Hong-yan, una giovane donna che lavora come poliziotta nel carcere e che accompagna le detenute fino alla morte; la sua è una vita che si è presa già tutto: è vedova, passa le serate nella sala da ballo dell'agenzia matrimoniale, aspettando invano qualcuno che la inviti a ballare, sembra quasi un essere inanimato nelle sue movenze , un essere però che desidera un contatto umano più di ogni cosa, un appiglio che la aiuti a cancellare il grigiore di una vita in cui è presente solo l'appuntamento con la morte.
Quando incontra un uomo che dapprima la segue e poi si mostra interessato a lei, non avrà difficoltà a concedersi quasi subito, nella disperata speranza che qualcosa di vitale possa finalmente accadere; ma quell'uomo è il marito di una delle sue ultime vittime, per cui il rapporto che si instaura è improntato all'ambiguità più totale: è attrazione vera? è sete di vendetta? La storia non ce lo dice, anche perchè tutto sommato la cosa non ha un importanza fondamentale; quello che invece il regista ci racconta per tutta la seconda metà del film è un rapporto tra due persone ad un passo dal baratro esistenziale, in una citta della provincia cinese, in cui dominano le ciminiere delle acciaierie, la costante nebbiolina che offusca tutto e che richiama ad ambientazioni da Still life, in un contesto da disfacimento interpersonale che ben si sposa con quello industriale e sociale.
Qui probabilmente la critica sociale è più pungente, il prezzo da pagare per il grande balzo verso la modernità è l'alienazione delle persone, la perdita di identità, lo smarrimento esistenziale: tutto ciò resta comunque sullo sfondo, seppure ben marcato, di fronte al racconto del rapporto sottilmente morboso che si instaura tra la donna e l'uomo; sicuramente è un impulso di vitalità per entrambi che non sappiamo però dove li condurrà, perchè la linea sottile che separa le loro due disperazioni potrebbe rompersi in un senso o nell'altro.
Il film nella sua nera glacialità è bello, poche parole e molti particolari, immagini fisse e immagini di vita reale, una atmosfera plumbea che opprime ma che fotografa in maniera straordinaria delle esistenze che non sembrano avere altra via d'uscita che il dramma; come detto si sente forte l'influsso di Still life di Ja Zhang-ke, non solo nelle ambientazioni urbane ma anche nello stile di ripresa: anche l'ambiente circostante trasmette un senso di algidità e si omologa alle vite dei protagonisti, quasi partecipandovi.
Bravissimi Liu Dan nel ruolo di Wu e Qi Dao in quello di Li Jun, entrambi capaci di essere credibilissimi nell'interpretare due personaggi alla deriva.

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