Un thriller quasi classico per Oxide Pang
Nel medesimo anno in cui in coppia col fratello Danny, Oxide Pang commette il clamoroso passo falso con The messenger ammaliato dalle sirene hollywoodiane, esce The detective, lavoro che restituisce quasi per intero il grande talento cinematografico del regista che ritorna sapientemente verso lidi a lui più congeniali, sia dal punto di vista dell'ambientazione che da quelli propriamente narrativi.
The detective è un thriller classico che si avvale di una trama tutto sommato semplice e che possiede tutti gli ingredienti ben dosati per consentirne una riuscita valida: procede come un rivolo d'acqua che avanzando toglie il coperchio a tante scatole concatenate, torcendosi su se stesso e ingarbugliandosi sempre di più , seppure in maniera molto lineare.
Tam è un detective privato di quelli sempre in attesa del caso che possa cambiargli in meglio la vita, si intuisce subito che si ispira cinematograficamente a quella schiera di investigatori privati un po' sfigati e che galleggiano nel torbido. Un uomo che conosce lo assolda per rintracciare una giovane donna che lo seguirebbe per ucciderlo, portando come unico elemento una foto della ragazza.
Tam si lancia nell'indagine , ma ben presto scopre di essersi infilato in una storia torbida in cui cominciano ad affiorare svariati morti; nonostante l'aiuto che estorce all'amico poliziotto l'affare diventa sempre più misterioso perchè quelli che sembrano dei suicidi risultano troppo concatenati tra loro per essere casuali.
L'indagine si incanala su una storia di finanza di basso rango da furbetto del quartierino, ma i morti sono sempre dietro l'angolo a ricordare a Tam la pericolosità della vicenda, fino ad un epilogo nel mezzo del putridume di un discarica che quadra il cerchio sul caso, dona una risposta a Tam che aspettava da 30 anni e si appalesa come un fulmine uno squarcio tipico da cinema dei Pang brothers.
Ambientato in una Bangkok che sembra vivere solo nei suoi tuguri dei bassifondi tra catapecchie dai muri scrostati , acque insalubri e locali dove si gioca a mahjong, con una ricercata cromaticità crepuscolare che vira sempre verso il giallognolo, arricchito da una forza visiva che è un po' il marchio di fabbrica, Oxide Pang costruisce una storia che tiene bene il ritmo, alimenta la suspance, offre qualche sguardo ironicamente divertito e soprattutto crea un personaggio, quello di Tam, che rifugge tutti gli stereotipi del caso , ispira una forte simpatia nelle sue debolezze e nel suo passato drammatico che ha segnato indelebilmente il suo modo di essere, risultando di fatto il catalizzatore della storia con la tenacia con cui cerca di venire a capo di un mistero che va ben oltre i suoi doveri con il cliente.
La trama del film si apre e si dipana sotto i nostri occhi semplicemente tallonando Tam, che da parte sua funge quasi da narratore col suo modus operandi di rimandare alla memoria e alle immagini fotografiche ogni piccolo particolare.
Il risultato è un buon lavoro che forse presenta l'unico difetto in un finale un po' troppo frettoloso , seppur coerente; di contro regala un bel personaggio al quale sarà facilissimo affezionarsi nel suo modo di agire che confida solo nel fiuto e nella logica , senza mirabilie tecnologiche, e che nel sottofinale , durante l'incontro con l'amico poliziotto, sa anche commuovere , in uno dei momenti più belli ed intensi del film.
Il volto di Tam è quello dell'ottimo Aaron Kwok in una interpretazione ben dosata che gli è valsa la nomination all'Awards Hkese; accanto a lui Liu Kai-chi, vecchia gloria del cinema di Hong Kong che ben spalleggia Kwok nel ruolo dell'amico poliziotto.
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