Colpevolmente relegato in una delle sezioni collaterali ( Settimana della Critica ) della Mostra di Venezia in conseguenza dei singolari e curiosi criteri di selezione, The Coffin in the Mountain è risultato uno dei migliori lavori visti all'interno della intera rassegna, ponendo il giovane regista Xin Yukun all'interno di quel gruppo di giovani cineasti cinesi indipendenti , che seppur con alcune difficoltà, si stanno affermando nel panorama cinematografico mondiale, grazie a lavori validissimi.
Occhio quindi a questo giovane regista: ha posto bene le basi con questa opera prima sorprendente che ha il raro pregio, ancora più da sottolineare in questa Mostra piuttosto piatta e grigia, di stupire entusiasmando.
Il racconto si svolge in una piccola comunità di montagna nel sud della Cina ed ha come reale protagonista una bara: è il baricentro di tutta la narrazione. intorno ad essa ruotano alcune storie intrise di legami famigliari, di segreti, di passioni e di meschinità, curiosamente orchestrate da donne dalla forte personalità oltre che animate da una singolare perfidia.
Il capo villaggio è un uomo vicino alla pensione, fiero del suo passato di combattente per il comunismo, ferreo nelle sue idee anche quando si tratta del suo unico figlio che nel frattempo è invischiato in una tresca con una giovane ragazza; la storia prende spunto da qui, ma ben presto vediamo irrompere sulla scena altri personaggi, spesso in brevi frammenti che saranno poi quelli che alla fine si ricomporranno per risolvere il giallo.
Sì perchè di giallo si tratta, seppur molto sui generis: c'è una bara, non si capisce bene chi ci sta dentro perchè il corpo è carbonizzato, ci sono eventi che accadono e che sembrano indirizzare verso alcuni colpevoli, ci sono personaggi dati per morti che invece non lo sono ma presto lo diventeranno, e ci sono omicidi programmati ma non portati a termine; un groviglio di situazioni raccontate con apparente confusa frammentarietà che tale però non è, perchè, e qui sta il pregio maggiore del film, il magnifico intreccio , di cui pensiamo di conoscere tutto, ben presto si svolgerà lasciando spazio ad altre verità.
In questo contesto di storia intrigata c'è però molto altro: c'è una certa metafora sulla Cina, c'è la fotografia di una comunità nella quale albergano segreti e legami inconfessati, c'è il cinismo di chi vorrebbe barattare un morto con la certezza di poter continuare a fare la propra misera vita, c'è insomma uno spaccato che sebbene appaia molto ben caratterizzato nei canoni cinesi, di fatto è una piccola fotografia delle ombre che agitano l'animo umano.
Xin mostra doti da regista vicine alla genialità sia per come tiene in mano la storia che potrebbe facilmente sfuggirgli di mano, sia per come sapientemente riesce a maneggiare il groviglio grazie a inconsuete doti da narratore di noir, ma soprattutto è la forte carica di umorismo nero che infonde nel film e che ne fa una opera intelligente e innovativa, sorprendente e bella, con il suo mescolare gli stili che fanno di The Coffin in the Mountain un po' thriller, un po' commedia nera e un po' dramma.
Film da vedere e da godere nelle sue quasi due ore che scorrono come un baleno e che conferma la vitalità della cinematografia cinese anche nei suoi rappresentanti più giovani; il nome di Xin Yukan è già sul taccuino rosso, quello che raccoglie i nomi di chi per il cinema potrebbe fare molto: ora va atteso alla conferma col secondo film, sempre il più difficile, ma il giovane regista ha talento da vendere, possiamo scommetterci.
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