Giudizio: 9/10
C'è una casa gialla vicino al mare nella località di La Boca in Cile, una pennellata di colore in un quadro plumbeo che sembra uscito dalla mente di un pittore crepuscolare e pessimista, un luogo che sembra essere il confine del mondo, isolato , dove il cielo è livido ed l'oceano rumoreggia senza tregua.
In quella casa vivono 4 uomini e una donna, i volti segnati da una dolorosa rassegnazione: sono preti accuditi da una monaca che la Chiesa ha deciso di esiliare lontano dal mondo per il loro passato intriso di peccati e nefandezze; una prigione al confine del mondo dove la vita è una ritualità abitudinaria scandita dai tempi dilatati fatti di pasti, preghiere e l'assiduo allenamento di un bellissimo levriero da corsa, i contatti con il mondo esterno sono proibiti, come se fossero degli untori che debbono espiare le loro colpe.
La apparente calma grigia viene spazzata via dall'arrivo di un quinto prete ospite della casa ,al cui seguito compare ben presto un predicatore folle, un vagabondo che con precisione spietata e cantilenante elenca i racconti dettagliati dei soprusi sessuali che ha dovuto subire sin da ragazzino.
Il nuovo arrivato si spara alla testa incapace di sopportare quello che sarebbe diventato il suo inferno e ben presto nella casa gialla arriva il giovane gesuita inviato ad indagare sul fatto e soprattutto sugli ospiti, per capire il grado di pentimento raggiunto dai preti che hanno molestato ragazzini, appoggiato la dittatura di Pinochet, maltrattato minori e trafficato neonati.
Da qui in poi il racconto si fa durissimo, spietato, violento, per approdare alla triste conclusione che insabbiare e tacitare le cose è l'unico modus operandi che l'autorità ecclesiastica possiede, perpetrare nella sua dogmaticità incapace di accettare la fallibilità dell'Uomo.
Dopo i tre lavori precedenti nei quali Pablo Larrain aveva raccontato il Cile della dittatura di Pinochet, in El Club l'occhio del regista si sposta, apparentemente, su altre tematiche, in primis quella della pedofilia da parte dei preti; in effetti Larrain, e qui sta forse l'errore di interpretazione più grande della sua opera, nello stesso modo in cui i precedenti film non erano solo e soltanto una denuncia della violenza del regime, si focalizza su quella che è la pulsione umana più misteriosa e agghiacciante: la sua incapacità di liberarsi dal male.
Il regime di Pinochet prima e quello della Chiesa poi sono i contesti in cui lo studio di Larrain sull'animo dell'uomo si concentra: i religiosi in esilio, scomunicati e sottratti alla giustizia per preservare la dignità della Chiesa, sono degli esseri in cui il male è penetrato profondamente e che lungi dal cercare la via dell'espiazione , sono costretti a convivere con le loro colpe in una penitenza infinita e ben poco misericordiosa dalla quale non c'è possibilità di liberarsi.
La figura del giovane e prestante gesuita che vorrebbe normalizzare le cose con uno spirito che dovrebbe incarnare il nuovo corso della chiesa moderna è un fallimento completo, perchè nel momento in cui le passioni e la fallibilità umana prendono il sopravvento non esiste altra misura che la tacita sistemazione sotto un manto spesso fatto di altre nefandezze.
Il finale in cui vittime e carnefici si ritrovano sullo stesso piano, incarcerate nel male , nel rimorso , nella impossibilità a sfuggire la situazione di dead walking men è il corollario conclusivo ad una riflessione durissima e senza appello sulla lotta tra potere e uomo e sulla sottomissione che quest'ultimo deve accettare per continuare a sopravvivere.
El Club è senza dubbio il miglior film di Pablo Larrain che si conferma in maniera definitiva e con impressionante forza come uno dei più grandi registi contemporanei, non solo grazie alla potenza narrativa del film, ma anche perchè dimostra una bravura sia nella scrittura ( in collaborazione con Guillermo Calderon) che negli aspetti tecnici: i confronti tra l'inquisitore e i preti sono bellissimi oltre che pervasi di riflessioni sul libero arbitrio, sulla passione, sulla repressione degli istiniti, sulla responsabilità personale, girati con piani fissi utilizzando lenti che sfocano l'immagine e che accentuano il grado di disturbo; la descrizione dell'ambiente è perfettamente funzionale al montare del disagio e della tensione che si inizia a percepire inesorabilmente sin dal primo fotogramma del film.
Ma è soprattutto il lucidissimo e spietato racconto di come l'uomo si confronti col male e la pessimistica e quasi sadica conclusione che non c'è possibilità di redenzione, perchè l'animo umano è troppo indulgente verso la cattiveria, a fare di El Club uno dei film più belli degli ultimi tempi, un'opera che travalica la semplice contestualizzazione storica e sociale per andare al cuore filosofico del problema.
Insieme al fedele Alberto Castro, autore dell'ennesima straordinaria prova, brillano tutti gli altri interpreti, da Roberto Farias ad Antonia Zegers, Alejandro Goic,Jaime Vadell e Marcelo Alonso: un cast di assoluto rispetto che si completa alla perfezione.
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