martedì 19 febbraio 2019

Ash Is Purest White / 江湖儿女 [aka I figli del Fiume Giallo] ( Jia Zhangke / 贾樟柯 , 2018 )

 


Ash Is Purest White (2018) on IMDb
Giudizio: 8/10


Presentato in Concorso all’ultimo Festival di Cannes Ash is Purest White ( titolo italiano I figli del Fiume Giallo), l’ultima fatica di Jia Zhangke, sembra assurgere a sintesi e al contempo evoluzione dei due precedenti lavori del regista cinese, Il tocco del peccato , che fu una svolta drastica e oltremodo sorprendente e Al di là delle montagne che apparve subito come il vero breakpoint nella cinematografia di Jia.
Se con il primo il regista di Fenyang inizia una sua personale rilettura in chiave moderna e tradizionale nello stesso tempo del genere wuxia, come ha spesso sottolineato, anche in una nostra intervista del 2013 subito dopo l’uscita del film, con l’altro evolve la sua visione cinematografica al di fuori degli schemi strutturati e ben conosciuti che hanno contribuito a renderlo uno tra gli autori di più alto livello nel panorama cinematografico mondiale; come  Al di là delle montagne, anche Ash is Purest White si presenta come una opera tripartita nel tempo, un lungo racconto che parte nel 2001 e che termina ai giorni nostri attraversando gli spazi , persino quelli geografici , che  la vorticosa corsa verso l’arricchimento intrapresa dal colosso cinese in quegli anni hanno trasformato e stravolto; spazio e tempo, quindi, due concetti che ritornano circolarmente nel cinema di Jia, due capisaldi cinematografici strutturali del suo cinema che trovano in Antonioni e Bresson i modelli cui il regista  si è da sempre ispirato.


Come abbiamo, accennato il film si apre nel 2001 con una scena a bordo di un autobus che fa parte del repertorio di archivio del regista e che fu girata da Jia stesso  in quell’anno durante la preparazione di Unknown Pleasure: siamo ancora una volta nel natio Shanxi dove il piccolo boss Bin gestisce con bonarietà paternalista gli affari della cittadina insieme alla fidanzata Qiao; la locomotiva del benessere e della ricchezza , che in breve avrebbe frantumato il tradizionale mondo comunista e post-maoista della Cina è già partita, ancora i Village People , stavolta con YMCA, furoreggiano nei locali e nelle danze che si avvicinano sempre più a quelle occidentali,  la gang di Bin guarda i gangster movie di Hong Kong con Chow Yun Fat per sposare il modello di vita, la celeberrima canzone di Sally Yeh che fa da colonna sonora di The Killer, in un sentito omaggio al cinema di John Woo, percorre le scene iniziali del film; fratellanza e onore, rispetto dei vecchi e della tradizione sono i canoni che Bin cerca di propugnare , mentre Qiao sembra ben più rivolta con lo sguardo al mondo nuovo che sta per aprirsi davanti.
E’ di certo il segmento più bello, quello più riuscito e se vogliamo anche quello emotivamente più coinvolgente del film quello iniziale, fino a quando Qiao, per difendere Bin da un agguato in strada da bande di cani sciolti che non riconoscono certo i valori che Bin vuole incarnare, spara in aria con una pistola, mettendo sì in fuga i criminali e salvando il suo uomo, ma finendo dritta in carcere per 5 anni.
Nel 2006 , quando Qiao esce di galera, si mette subito alla ricerca di Bin, scoprendo con grande amarezza e con un profondo senso di sconfitta che non solo il mondo intorno a lei è cambiato in maniera esasperata, persino il carcere dove era detenuta è stato demolito perché vecchio,ma che anche le persone in cinque anni sono cambiate.
La recensione completa può essere letta su LinkinMovies.it

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