lunedì 24 giugno 2019

Lemonade ( Ioana Uricaru , 2018 )




Lemonade (2018) on IMDb
Giudizio: 6.5/10

L'esordio cinematografico nel lungometraggio di Ioana Uricaru ha come palcoscenico la sezione Panorama della Berlinale e la protezione di Cristian Mungiu nelle vesti di produttore; la regista appartiene già ad una generazione diversa rispetto a quest'ultimo, avendo compiuto gran parte degli studi cinematografici negli Stati Uniti.
Ed è proprio la società americana ad essere sotto l'occhio attento della Uricaru di pari passo con la protagonista del film:Mara è una giovane donna rumena emigrata negli States in attesa di poter ricevere la Green Card che gli renderebbe illimitata la permanenza sul suolo americano; la donna ha un lavoro come infermiera, un matrimonio con Daniel conosciuto in ospedale in seguito ad un incidente che lo ha gravemente menomato e un figlio poco più che fanciullo avuto da un precedente matrimonio in Romania con cui aspetta di ricongiungersi.
L'ufficio preposto a rilasciare l'agognata green card svolge le indagini sulla donna e soprattutto sul matrimonio, a dire il vero piuttosto frettoloso, e la sua pratica è affidata ad uno zelante quanto raccapricciante impiegato carico di un rancore xenofobo ben mascherato ma tangibile.


In epoca trumpiana gli Stati Uniti d'America non sono più la patria di chiunque cerchi un riscatto ed insegua il sogno di inserirsi in una società capace di offrire a tutti la possibilità di vivere una vita serena; il sospetto, il rancore quando non l'odio vero e proprio, spingono il paese a vedere lo straniero come un imbroglione in cerca di facili strade per piantare le tende nella società americana.
Per Mara quindi inizia una odissea tra burocrazia apparentemente efficientissima ma in effetti elefantiaca come tutti i carrozzoni burocratici, umiliazioni, difficoltà apparentemente insormontabili, eventi che stravolgono la sua vita nella quale rimane come ancora di salvezza solo la presenza del figlio.
Raccontato con uno stile secco, diretto, che rasenta il verismo, caratteristica cinematografica tipica di buona parte del cinema dell'est Europa, Lemonade è lavoro che basa gran parte del suo pathos sui personaggi, a partire da Mara per finire al figlio Dragos passando attraverso la piccola schiera di conoscenti che in qualche maniera cercano di rendersi utili alla causa della donna. 

In un paese dove la solidarietà sembra essere tramontata con l'uscita di scena di Obama, per Mara gli unici appigli sono l'amica rumena anch'essa che cerca di rendersi utile in tutti i modi e l'avvocato serbo-bosniaco profugo durante le guerre balcaniche (grazie al passaporto bosniaco) che cerca di aiutare la donna ad  incastrare l'incaricato del suo caso che sfruttando la situazione si è spinto fino a comportamenti ripugnanti.
Va detto però che questo manicheismo spinto messo in piedi dalla Uricaru non è troppo convincente: considerare che il male sta tutto da una parte a danno degli immigrati che subiscono le vessazioni più assurde appare un atteggiamento un po' troppo estremizzato anche considerando i cambiamenti subiti negli ultimi anni dalla società americana sotto i colpi xenofobi di Trump.
Se questo aspetto sembra in alcuni momenti addirittura fastidioso, Lemonade ha però anche alcuni pregi indubbi: di certo lo stile della regista molto scarno, quasi minimalista, a metà strada come detto tra il verismo e lo stile dei fratelli Dardenne, che la porta ad assecondare la situazione complessiva dai tratti drammatici persino squallidi con ambientazioni grigie e dismesse, quasi post industriali, segno di una decadenza sociale del paese sostenute da un sonoro molto efficace e molto diretto e soprattutto un finale sospeso, nel quale Mara col figlio si muovono in una casa adorna che deve essere messa in piedi, dalla quale si defilano lasciando un palcoscenico vuoto e freddo, metafora di un vuoto assoluto che circonda l'esistenza della donna e del figlio.

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