Ritorno rigenerante a Manhattan
Verrebbe quasi da urlarlo a squarciagola: Woody Allen è tornato!
Ponendo fine ad una parentesi europea che ha lasciato fin troppe ombre, il taumaturgico ritorno a New York City , tra palazzi in cortina, negozietti di ebrei e caffè nel Village, ci regala un film che sembra un autentico ritorno al passato, con tanto di già piacevolmente visto, condito in più dal sarcasmo e dal disincanto di chi ormai può legittimamente atteggiarsi a grande vecchio del Cinema.
Ponendo fine ad una parentesi europea che ha lasciato fin troppe ombre, il taumaturgico ritorno a New York City , tra palazzi in cortina, negozietti di ebrei e caffè nel Village, ci regala un film che sembra un autentico ritorno al passato, con tanto di già piacevolmente visto, condito in più dal sarcasmo e dal disincanto di chi ormai può legittimamente atteggiarsi a grande vecchio del Cinema.
Gettando nell'arena il suo alter ego Larry David, autentico clone del Woody Allen attore, ci racconta la sua visione del mondo in ottica newyorkese come fossimo in un teatro, con l'attore , fra megalomania pontificatoria e logorrea irrefrenabile, che si rivolge direttamente al pubblico.
La vita di Boris, ebreo newyorkese, un tempo illustre fisico, ora zoppo per un comico tentato suicidio, separato dalla moglie, maestro di scacchi per ragazzini che sistematicamente insulta e disprezza, racchiude in sè tutte le nevrosi che la maggior parte dei personaggi craeti dal regista possiedono; attraverso il racconto, spesso in soggettiva, degli eventi della propria vita, Boris diventa un cantore delle fragilità umane, con l'immancabile ipocondria in prima linea, viste con occhio cinico e sprezzante e condite da una incipiente misantropia, diretta conseguenza di una a tratti esilarante arroganza culturale.
La visione pessimistica della vita di Boris è la stessa di Allen, in balia del fato (che bussa con le note di Beethoven), in cui però tutto è concesso per raggiungere la felicità, basta che funzioni e che non sia di nocumento per altri: una filosofia apparentemente semplicistica, ma che le storie dei personaggi raccontate nel film sembrano abbracciare in pieno: dapprima la giovane Melody ,fuggiasca dal profondo sud dove ha vissuto all'insegna della religione bigotta e dei concorsi da majorette, quindi la madre Marietta, cui l'aria di Manhattan dona una verve artistica e sessuale potente, ed infine il padre della ragazza che , prima fuggito dalla moglie e quindi dall'amante, capisce nella Grande Mela che il problema è semplicemente la sua omosessualità inesplorata. Alla fine tutti , compresa Melody che abbandona Boris, divenuto nel frattempo suo marito nonchè pigmalione, in favore di un giovane attore, trovano un senso alla loro vita, magari effimera, ma se funziona....
La forza del film, come sempre nei lavori di Allen, risiede nel testo, assolutamente bello e vivace , infiorato di dialoghi che sembrano scritti dalla mano del Woody dei tempi migliori, arricchito da decine di battute che andrebbero ricordate tutte a memoria (due su tutte : " Dio è gay" e poi :"aspetta che ho sempre con me il viagra" dice Melody al suo giovane amante, e lui :"non mi serve, mangio tanta carne rossa").
Il personaggio di Boris , ottimamente interpretato da Larry David, è l'autobiografico motore trainante della storia, capace di suscitare ora simpatia , ora quasi tenerezza, così racchiuso come è nel proprio smisurato ego, logorroico tendente al ciarlatano ma dispensatore di acre e pungente perle di saggezza.
Se l'aria di Manhattan ha questo effetto rivitalizzante e rigenerante, per favore qualcuno che può strappi il passaporto di Woody Allen e lo interdica dai viaggi al di fuori della Grande Mela.
Grande ritorno del miticissimo Allen, uno dei miei più grandi miti! Comunque per me in Europa ha fatto dei film davvero straordinari come "Match Point" e "Cassandra's Dream", e alcuni decisamente piacevoli seppur non grandiosi come "Scoop" e "Vicky Cristina Barcelona". Non è che, sfornando un film all'anno tra l'altro, possiamo sempre aspettarci il "capolavoro". Non c'è dubbio, comunque, che Allen "in casa" giochi decisamente meglio.
RispondiEliminaMah, Alessandra, concordo su match point che era un buon film, ma gli altri a me hanno deluso profondamente; Sogni e delitti l'ho trovato addirittura sconcertante, ho avuto veramente l'impressione che avesse perso ogni forma di ispirazione.
RispondiEliminaComunque sta di fatto che l'aria di casa gli giova più di ogni cosa.
E' un bel film. Rivedendo Hannah e le sue sorelle ho notato quei punti di contatto di cui ho parlato da me, ma è anche normale che un autore insista su certe tematiche a lui care...
RispondiEliminaE per fortuna che allen lo fa, anche perchè ogni volta sposta un po' il tiro ne vengono fuori lavori non certo indimenticabili. Ora poi che ha trovato il suo degno alter ego, può tornare veramente a ripercorrere con successo certe traccie.
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