lunedì 5 aprile 2010

Platform (Jia Zhang-ke , 2000)

Giudizio: 10/10
I dieci anni che cambiarono la Cina

E' il decennio che va dal 1979 al 1989 quello che racconta Jia Zhang-ke, attraverso la storia di un gruppo di giovani attori di Fenyang, villaggio del nord della Cina, città natale del regista stesso. Sono gli anni in cui sotto la guida di Deng Xiaoping la Cina iniziava a muovere i primi passi, quasi impercettibili, verso l'uscita dall'isolamento e il boom economico che l'ha investita negli anni 2000.
E' un film in cui raccontare la trama è compito quasi arduo, essendo tutto così fossilizzato intorno alle vicende di un gruppo di giovani del Gruppo Culturale Contadino che vediamo in apertura rappresentare canzoni propagandistiche inneggianti al grande timoniere Mao e subire nel corso degli anni i cambiamenti dovuti all'iniziale privatizzazione e agli influssi occidentalizzanti e modaioli.
I giovani, guidati dal burocrate di partito depositario della purezza della linea culturale, vivono il ruolo di avanguardia con enfasi, con l'occhio però rivolto alle mode che con qualche anno di ritardo arrivano dall'occidente e nello stesso tempo calati nelle realtà tipiche dei ventenni, fatte di amori tormentati , difficoltà famigliari e ribellione.
I dieci anni che idelamente scorrono nell'arco delle due ore e mezzo della pellicola, sembrano però passare quasi senza traccia, quasi si fosse ingabbiati in uno spazio-tempo immutabile. Le grandi passioni, la voglia di fuggire da realtà opprimenti e monotone, il viaggio inteso come liberazione, sono ben descritti nelle frequenti trasferte del gruppo, trasformatosi nel frattempo in un complesso musicale che sposa la breakdance, il pop e il rock che hanno preso il sopravvento sulle canzoni propagandistiche e sulla tradizione. La canzone Platform , da cui il titolo del film, diviene così il manifesto di una generazione , in attesa su una piattaforma appunto di un fantomatico treno che conduca lontano.

L'attesa del viaggio, quindi, quasi come in un road movie, che dia libero sfogo alle aspettative e all'ansia di emancipazione; le storie dei protagonisti però, focalizzate nell'ultima inquadratura del film, troveranno la conclusione in una sconfitta del sogno, troppo radicate nei loro confini dai quali è impossibile allontanarsi.
Rimanendo fedele ad uno stile realistico puro, con tanto di presa diretta, Jai Zhangke crea un opera bellissima , intrisa di malinconia che racconta una generazione che intravede le prime aperture di una società ermeticamente chiusa e che stenta a sfruttare quegli spiragli; la visione è indubbiamente piuttosto pessimistica, ma senza enfasi, quasi fosse un documentario, stile che il regista predilige, come dimostrano anche i lavori seguenti che lo hanno reso uno tra i più celebrati cineasti cinesi. 
Quello che più affascina e ammalia è l'ineluttabilità del tempo che scorre , racchiuso in spazi angusti che lo rendono quasi impalpabile; aveva solo 9 anni nel 1979 il regista e quindi la sua è anche una ricerca a ritroso nel tempo di una pagina storica fondamentale nella storia della Cina e nonostante la sua assoluta neutralità nel dirigere il film, qualche licenza emotiva nel raccontare i travagli di una generazione traspare.
Unico piccolo neo: del film esiste anche un'altra versione di oltre tre ore e in questa, di mezzora più breve, qualche strano salto temporale lo si nota, creando qualche piccolo intoppo.
Un film da vedere con occhio attento, da gustare in ogni scena , anche la più apparentemente insignificante, che decreta l'enorme talento di Jia Zhangke, tenendo ben presente la raccomandazione che se si cerca divertimento, spettacolarità ed emozioni forti, meglio astenersi dalla visione; se invece è la poesia delle immagini e del flusso delle emozioni che si cerca, queste due ore e mezza saranno assolutamente sublimi.

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