martedì 20 aprile 2010

Betty ( Claude Chabrol , 1992 )

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Caduta all'inferno senza ritorno

Sulla traccia segnata da un racconto di Simenon, Claude Chabrol mette in scena un altro di quei drammi borghesi che con tanta lucidità rappresenta nei suoi film.
La storia è quella di Betty, giovane donna allontanata e ripudiata dalla famiglia dell'alta borghesia parigina del marito perchè colta in flagrante adulterio.
Nel suo vagare notturno la giovane si imbatte in una serie di personaggi che delineano con efficacia lo squallore della sua esistenza, fino a quando, come una sorta di samaritana, si prende cura di lei una donna che vive in  esilio dorato in un albergo a Versailles.
Giocando , a volte con qualche sbavatura, con una serie di flashback sovrapposti, Chabrol ci disegna la personalità di Betty , fin da quando è una fanciulla, mostrandone le fragilità e il senso di inquietudine derivante da una difficile accettazione del suo ruolo femminile, votato,sin dall'età precoce, alla sofferenza. Più volte nel raccontarsi Betty si definisce una puttana, una poco di buono, una perenne insoddisfatta carica di una forza autodistruttrice che non trova mai pace.
Lo stato catatonico, alimentato dall'alcool , in cui versa nel suo stato di abbandono trova solo una parziale attenuazione grazie a Laure, la donna che decide di prendersela sulle spalle, mossa da compassione e con cui Betty trascorre gran parte del suo tempo raccontando e analizzando la sua vita.
Alla fine quella che sembra una rinascita è, invece, l'ennesima sconfitta, macchiata dalla codarda decisione di distruggere l'unica figura umana che qualcosa di positivo le aveva dato.
Chabrol racconta la storia di questa anti-eroina con la consueta lucidità , affondando gli artigli nelle zone d'ombra dei personaggi e della borghesia, inesauribile fucina di ipocrisia e distruzione, e non lascia alcun spiraglio di redenzione: la figura di Betty rifulge di un senso di dannazione e di distruttività inguaribili che affondano le radici nel passato della giovane e nel suo senso di ineluttabile sconfitta.
In questo film Chabrol sembra più interessarsi all'aspetto intimo dei personaggi, lasciando solo sullo sfondo quel contesto perbenista borghese che tante volte ha costituito il fulcro dei suoi racconti, di fatto però il chiacchiericcio da comari che chiude il film è comunque il marchio di fabbrica sia del regista che delle miserie di certi ambienti benestanti.
Quella che a prima vista e a una lettura superficiale può sembrare come una ribellione giovanilistica a certi canoni della famiglia borghese, risulta invece essere una parabola sul nichilismo di Betty, che passa attraverso il suo fortissimo senso di emulazione per la serva suo coetanea , che in età adolescenziale dava libero sfogo alle sue voglie sessuali, la sua irrequietezza sessuale anche da donna sposata, la scelta di rapporti clandestini che sembrano più sedute psicoanalitiche che incontri amorosi, il degrado completo , simile ad una prostituzione autoflagellatoria , fino al gesto finale che ha tanto l'aspetto di un marchio di infamità.
Chabrol aggiunge , quindi, un'altra protagonista alla sua carrellata di figure femminili tragiche, verso le quali, come sempre, non esprime giudizi, limitandosi a raccontare e descrivere asetticamente drammi e meschinità

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