mercoledì 28 aprile 2010

Vacation ( Hajime Kadoi , 2008 )

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Pena di morte e dintorni

Una cupa riflessione sulla pena di morte e sulle dinamiche interiori di chi per professione è costretto ad applicarla; questo è fondamentalmente il nucleo del film di Hajime Kadoi che con delicatezza, senza facili ed eclatanti proclami , con la giusta dose di drammaticità, seppur non completamente scevra di qualche luogo comune, racconta una storia che è quella della solitudine, del rimorso e della paura di un condannato a morte, detenuto modello cui le gurdie riservano un timido comportamento benevolo; ma è anche la storia di solitudine e di rassegnazione di una guardia carceraria e di una giovane donna con piccolo figlio al seguito che cercano una unione che lenisca le loro inquietudini.
L'intreccio tra le tre vite offre momenti di buon cinema in cui disegni a colori fanciulleschi si uniscono a tavolozze in bianco e nero, specchio della monocromaticità del carcere , abbracci mortali segnano la vita per sempre, anche se portano con sè vantaggi immediati , rumori di passi nel corridoio che anticipano il vitto o più tragicamente la fine, una lettura della Genesi che , seppur con qualche accenno di retorica di troppo, dovrebbe spalancare le porte della vita celeste.
L'aver racchiuso i personaggi in un guscio impenetrabile conferisce al film una vena di cupo e disperato: i mondi sembrano sfiorarsi senza però interagire mai, tranne forse nel momento della morte indotta in cui il contatto fisico sembra scalfire la corazza che riveste la guardia e l'impiccato.
Per fortuna il regista è bravo a non cadere nella retorica anti-pena capitale e tanto meno nella storia strappalacrime, nonostante faccia di tutto per descriverci il condannato a morte in maniera che non ci si possa non affezionare a lui, così come sa gestire bene la storia d'amore (o di solitudini incrociate) tra la guardia e la giovane vedova che solo nel finale offre momenti di tenerezza.
Il bianco-grigio della cella e degli altri locali del carcere, trova un corrispettivo cromatico molto tenue e sfocato negli ambienti esterni in cui le sole note di colore vengono dai disegni del piccolo ragazzino, quasi a rimarcare uno strisciante disagio e malessere che percorre il film per tutta la sua durata.
Indubbiamente però siamo di fronte ad un lavoro valido , da cui trasuda sincerità e giusta misura del dramma, il dramma della morte e quello della vita con le sue scelte e le sue conseguenze.
Nota di merito per Hidetoshi Nishijima che interpreta col giusto piglio drammatico il condannato Kaneda e per Kaoru Kobayashi nel ruolo di Hirai, la guardia carceraria, forse un po' troppo dimesso , ma efficace nei suoi lunghi silenzi.



2 commenti:

  1. post scritto davvero bene.
    non ho mai sentito parlare di questo film ma vedrò di trovarlo.
    ely

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  2. Grazie ely e benvenuta . Il film è di relativo facile reperimento e credo valga la pena vederlo.

    PS ne approfitto per scusarmi per la scarsa presenza di questi giorni e nel ritardo delle risposte. Ora dovrebbe tornare tutto a posto :)

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