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Il Cinema e niente altro
Esistono pochi film nella storia del Cinema che sono universalmente conosciuti ed apprezzati fino al punto di diventare pilastri insostituibili della Settima Arte, e I Sette Samurai è senz'altro uno di questi.
Personalmente è stato il mio primo impatto con Kurosawa, avvenuto in età giovanissima, e per tale motivo, nonostante le ripetute ri-visioni, serbo per questa opera una sorta di rispetto e devozione assoluti, al punto che fino ad oggi ho sempre evitato di scrivere qualsiasi cosa su di essa, soverchiato da una sorta di rispetto reverenziale. Al di là del ricordo personale che indubbiamente tende a mitizzare quella che fu la prima magica visione, posso senza dubbio affermare che questo rimane per me l'emblema più puro del Cinema: in tre ore di pellicola è racchiusa tutta la magia del Cinema epico, quello in cui avventura, azione e sentimenti si fondono a formare una creazione armonica perfetta.
Partendo da un modello che evoca chiaramente il grande western di John Ford, Kurosawa crea un'opera che è la quintessenza del film d'azione, divenendo essa stessa insostituibile modello di tanta cinematografia; ma all'interno di un impianto avventuroso incastona accenni all'amicizia, al rispetto, alla coesione come mezzo per avere successo nella ribellione ai soprusi, alle differenze sociali così nettamente esplicate nel confronto samurai-contadini, alla sofferenza di chi è eternamente piegato alla violenza e alla sopraffazione.
L'ardua impresa dei sette samurai di difendere il misero villaggio di contadini dall'imminente assalto dei predoni per solo senso di giustizia, diviene quindi una operazione eroica nella quale ognuno dei sette mostra il proprio volto e la propria coscienza e li investe di una nobiltà che fino ad allora aveva difettato nelle loro vite, restituendo loro però anche una amara sconfitta ben enunciata da Kambei Shimada, il leader del piccolo manipolo di soldati di ventura, nelle ultimissime battute del film.
L'affresco che il Sommo Maestro fa dei samurai è splendido, mostrando sette personaggi tutti a modo loro alla ricerca di qualcosa, pervasi di profondo spirito di avventura, ancor prima che di giustizia, fra i quali spicca Kikuchyio (interpretato da Toshiro Mifune) , contadino di nascita ma con aspirazioni da samurai, che mostra quella cialtroneria tipica del millantatore, unita però al grandissimo coraggio in battaglia, personaggio in cerca di una rivincita e di una vendetta per i soprusi subiti.
Le oltre tre ore del film scorrono in maniera fluida e lineare grazie ad una organicità narrativa stupefacente in cui si inserisce dapprima l'iniziale diffidenza dei contadini per i samurai, poi il crescente coinvolgimento della popolazione nelle manovre di difesa ed infine il dramma della battaglia finale e dei morti sepolti.
Alcune scene rimangono nell'antologia del Cinema di tutti i tempi: la battaglia finale sotto il diluvio, tragica e commovente, in cui la vendetta contro i predoni è consumata; i cumuli di terra sotto cui sono sepolti i samurai morti, sormontati dalla spada conficcata nel terreno; la vendetta dell'anziana donna che trova finalmente pace per la morte del figlio.
Kurosawa mescola bene toni quasi da commedia con momenti di altissima drammaticità, scrutando, come sempre, nel fondo dell'animo umano, e sebbene la minaccia dei predoni viene sconfitta, un certo senso di pessimismo aleggia comunque sul finire del film.
Quanto il Cinema debba a questo capolavoro è sotto gli occhi di tutti; pochissimi altri però hanno saputo rendere l'epicità dell'immaginario cinematografico con la stessa forza e la stessa magia come ha fatto il Sommo Maestro.
L'appuntamento è per la prossima ri-visione.
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