La rabbia del giovane Tsui Hark
Dangerous encounters si può tranquillamente definire come pellicola imprescindibile per capire l'evoluzione del cinema di Hong Kong: è il 1980 e Tsui Hark è al suo terzo lavoro e a soli 30 anni si impone come regista dalle grandi capacità grazie a questo film in cui anche i più accaniti ammiratori stenteranno a riconoscere l'autore di Seven swords o di Once upon a time in China; ma allo stesso tempo non si può non riconoscere a questa pellicola la funzione di pilastro fondamentale per la creazione di quel genere noir metropolitano cui ben presto daranno lustro anche John Woo e Johnnie To, tanto per citare i più famosi.
Definirlo noir forse è riduttivo, perchè di film quasi apocalittico si tratta , permeato come è di uno spirito che sembra più vicino a quello di Arancia meccanica che a quello di Melville o Peckinpah, autentici creatori del genere noir.
Definirlo noir forse è riduttivo, perchè di film quasi apocalittico si tratta , permeato come è di uno spirito che sembra più vicino a quello di Arancia meccanica che a quello di Melville o Peckinpah, autentici creatori del genere noir.
In una Hong Kong che ostenta uno squallore che raramente abbiamo visto così descritto, viene narrata la storia di tre giovinastri che per puro gioco e per sfida a metà tra l'incoscienza e l'autodistruzione si divertono a seminare bombe costruite artigianalmente; proseguire nel gioco diviene inevitabile allorquando una ragazza ai limiti della psicopatia minaccia di denunciarli se non accettano la sua presenza nella gang.
Il gioco però diviene troppo pericoloso allorquando si imbattono con una banda di trafficanti di armi americani cui rubano un bel po' di soldi, ma ormai la strada è stata intrapresa e tornare indietro è impossibile, fino ad un allucinato finale nello stesso cimitero dove anche Fruit Chan svariati anni dopo ambienterà il suo Made in Hong Kong.
E' talmente intriso di pessimismo, di cattiveria e di brutalità primordiale che ad esempio non esiste neppure l'eroe in qualche modo positivo : tutti i personaggi sprizzano esecrazione e detestabilità, ognuno avviato sulla china della distruzione; tutto ciò portò non pochi problemi al regista, costretto a subire autentici tagli censori da parte delle autorità della ex colonia prima di poter offrire quello che era il suo lavoro originale.
Da ogni momento del film emerge una violenza cieca che nasce e si sviluppa per autocombustione, si autoalimenta e trova il suo fine in gesti che sprofondano sempre più i protagonisti nell'abbisso: ne esce una immagine di Hong Kong cupissima, priva di qualsiasi etica, in cui Tsui Hark non trova altro che maleodoranti immagini di morte e cattiveria.
Da questo clichè verranno poi i grandissimi lavori degli altri Maestri HKesi che debbono a questo film la primogenitura di un genere che si strutturerà in maniera più organica , anche in funzione delle vicende storico-sociali, ma che rimandano a questo per il racconto della violenza e ai suoi aspetti antropologici.
Con estremo coraggio Tsui Hark non cede a compromessi, fabbrica un lavoro durissimo che semmai aggiunge sempre qualcosa in più piuttosto che sottrarre, forse esagerando anche in certi momenti, ma grazie alla lunga scena finale nel cimitero (quasi una profezia) e a quella dell'interrogatorio dei testimoni della bomba nei gabinetti pubblici (esilarante nella descrizione delle posizioni per la minzione e la defecazione), regala dei momenti di cinema da antologia in un contesto che comunque lascia un profondo senso di sgomento.
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