Biografia di una leggenda
La figura del maestro d'arti marziali Ip Man è di quelle che sono direttamente passate nella leggenda, vuoi per il fatto di essere più vicina a noi nel tempo, vuoi per essere stato il maestro della, probabilmente, più grande leggenda cinematografica degli ultimi 40 anni, quel Bruce Lee che per anni ha monopolizzato i film sulle arti marziali.
Un personaggio simile, importante anche per l'aspetto strettamente tecnico, non poteva non trovare spazio nel cinema HKese e Wilson Yip, dopo qualche vicissitudine, ha portato sullo schermo la sua biografia incentrandola sul periodo che va dall'inizio dell'occupazione giapponese della Cina alla seconda guerra mondiale.
Calando il racconto della vita del maestro in un periodo storico così difficile il regista ha di fatto coniugato alcune delle anime più forti della recente storia cinese: le tradizioni e la cultura legate al kung fu e il profondo spirito nazionalista opportunamente miscelate fanno di questo film una sorta di romanzo popolare epico nel quale la Cina tutta si specchia con orgoglio e con fierezza nei suoi momenti basilari a forte impronta nazional popolare.
Calando il racconto della vita del maestro in un periodo storico così difficile il regista ha di fatto coniugato alcune delle anime più forti della recente storia cinese: le tradizioni e la cultura legate al kung fu e il profondo spirito nazionalista opportunamente miscelate fanno di questo film una sorta di romanzo popolare epico nel quale la Cina tutta si specchia con orgoglio e con fierezza nei suoi momenti basilari a forte impronta nazional popolare.
Questo però non deve far pensare ad un profilo basso della pellicola, che è concepita come un lavoro di grande respiro, nel quale si indaga sul legame del popolo per le arti marziali, divenute nel frattempo aperte a tutti, e si riporta a galla una storia recente che rimane ancora oggi una ferita profonda che infonde e rafforza però il legame per le tradizioni che la cultura cinesa sente fortissimo; semmai un difetto esiste, è quello di una certa retorica antigiapponese un po' troppo stereotipata.
Il kung fu si impone come modo di vita prima ancora che come una attività artistica e quindi i valori che esso veicola sono sempre in primo piano; inoltre assistiamo al fiorire delle varianti tecniche dell'arte, col Maestro Ip Man che propugna il Wing Chun, tecnica che la storia-leggenda vuole inventato da una donna, ma il il kung fu diventa anche l'unica salvezza per i cinesi sottomessi al dominio nipponico, consentendo loro di sopravvivere e di unirsi nella ribellione. Naturalmenete molti degli rimandi storici del film sono manipolati e romanzati per essere sottomessi alle esigenze della narrazione, operazione quasi inevitabile soprattutto nel momento in cui l'aspetto storico è solo lo sfondo delle vicende narrate.
Grandi momenti di cinema nei combattimenti, ottimamente costruiti con il consueto senso dell'estetica e della coreografia curatissimi, con un Donnie Yen che impone il suo carisma e la sua consueta bravura tecnica, fanno di questo lavoro un'altra pagina importante nella rinascita di un genere che sembra avere trovato un nuovo slancio.
Grandi momenti di cinema nei combattimenti, ottimamente costruiti con il consueto senso dell'estetica e della coreografia curatissimi, con un Donnie Yen che impone il suo carisma e la sua consueta bravura tecnica, fanno di questo lavoro un'altra pagina importante nella rinascita di un genere che sembra avere trovato un nuovo slancio.
Vero che si crogiola un po' in una retorica nazionalista esagerata, ma a mio avviso è un grande film e Donnie Yen è grandioso.
RispondiEliminasì vero quanto dici, ma quella retorica , indubbiamente esagerata, fa parte della cultura cinese in maniera stabile. Il grande Donnie Yen ormai si sta ergendo a mito cinematografico.
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